IL PRESEPE NELLA CULTURA DEL '700 A NAPOLI - Antonio BarzaghiAutore: Antonio Barzaghi
Titolo: Il presepe nella cultura del '700 a Napoli
Introduzione di Augusto Gentili
Descrizione: Volume rilegato in tela, con titoli in oro al piatto e sul dorso, in formato 8° (cm 24 x 20); 76 pagine;  23 illustrazioni a colori a tutta pagina
Luogo, Editore, data: Treviso, Matteo, 1983
Collana: Andromeda
Disponibilità: NO

 


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I TEATRINI DELLA NATIVITÀ
Il presepe napoletano della tradizione
di Antonio Barzaghi
"Il presepe napoletano del ‘700 è un aspetto della scultura italiana nel quale si fondono egregiamente motivi aulici e popolari. Uno spettacolo ricco e maestoso, caratterizzato da una mondanità, da una preziosità e da un’eleganza a volte eccessivi. Un’opera collettiva eseguita col ricorso ad una varietà multiforme di materiali, in cui una fantasia esuberante e un gustosissimo realismo convivono armonica­mente. Esso trae origine da una peculiare attenzione, di chiaro stampo illuministico, per le fogge, per gli abbigliamenti, per gli accessori, mentre sono da rimarcare le sue tangenze con la pittura di genere, di rovine e di paesaggi ma anche con la scenografia e con l’opera buffa, nell’intento di inquadrare brani di vita quotidiana, peraltro sempre animati, in uno schema generale che risulti lo specchio della realtà cittadina partenopea.
In questi allestimenti l’arte napoletana sfoga la sua tendenza naturale al genere, attraverso un realismo episodico e un minuzioso verismo che non mancano di presentare aspetti sorprendenti. Il presepe accoglie in un’ampia coralità il ricco borghese e il popolano, il mendicante, Io storpio con la sua devastante realtà fisica, il definito e l’indefinito, l’arcano, la malinconia e l’allegria, la speranza. Eppure non c’è disarmonia tra i molteplici elementi che lo compongono. Prende così corpo una galleria di caratteri, di pittoreschi assembramenti, in cui la disperazione si intreccia al buffonesco.
Nelle sue origini più immediate il presepe napoletano si rivela un derivato delle sacre rappresentazioni della Natività, eseguite in chiese  e conventi con burattini. I Concili deprecavano, però, che in questi luoghi i personaggi del sacro mistero fossero impersonati da fantocci, mossi con fili e fatti parlare con la voce di burattini. Pertanto, scomparsi fili e burattinai, restarono i fantocci, cioè i” pastori” con i loro indumenti di stoffa e, allo stesso modo dei burattini, costruiti in modo che testa, braccia e gambe fossero componibili nei più vari atteggiamenti.
L’usanza, assunta poi nel XVIII secolo, di costruire presepi, consigliò di abbandonare le figure scolpite che richiedevano troppo tempo e di sostituirle con altre dalla testa in terracotta che più facilmente si potevano ricavare dallo stampo.

Ma quando e per iniziativa di chi fu costruito a Napoli il primo presepe smontabile con figure vestite? Nel silenzio dei documenti è lecito formulare qualche ragionevole congettura e non è arrischiato supporre che esso sia sorto per iniziativa dei Gesuiti i quali, fin dal Natale del 1607, dieci anni dopo l’edificazione della loro chiesa a Monaco di Baviera, cominciarono a costruire tutti gli anni, per poi scomporlo e ricomporlo  l‘anno successivo, il primo presepe mobile con figure vestite di cui si abbia notizia certa e di cui restino pregevoli e cospicue testimonianze.

Nel presepe napoletano, tre sono le componenti fondamentali: l’Annunciazione ai pastori, la Nascita e a Taverna.
Il primo episodio, fedele alla tradizione evangelica, conserva l’idea di ”sospensione del tempo”, di sospensione metafisica di gesti e atteggiamenti. Tutto il quotidiano, la vita nelle sue abitudini e la natura nelle sue forme, d’un tratto si sospendono mentre il divino irrompe nella storia. Tutte le figure, attratte da stupore e meraviglia, accorrono verso la parte centrale della rappresentazione dove si svolge il mistero, mentre intorno alla grotta si raccoglie tutto ciò che raggiunge la maggiore intensità di espressione.
Nell’episodio della Nascita, la leggenda francescana e il Vangelo sono comunque alterati: la grotta, infatti, è sostituita da simboliche rovine che trasferiscono nel presepe il gusto dei rovinisti. La particolare inclinazione degli allestitori presepiali partenopei a collocare nei pressi della grotta rovine di templi pagani si desume agevolmente dalla circostanza che nel XVIII sec. furono promossi da Carlo III di Borbone con particolare vigore gli scavi di Ercolano e di Pompei.
La Taverna, invece, è l’elemento che ha subito la maggiore alterazione, dove la fantasia si è sbizzarrita all’inverosimile; spesso allocata in una grotta, altre volte nel piano terra di un rustico, è il luogo di per sè deputato alla gioia di vivere. Tutt’intorno i commestibili sono esibiti con abbondanza: verdure, frutta, latticini, pesce e frutti di mare, carni, salumi, ecc. Le pose sono diverse e diversi i caratteri, gli atteggiamenti a volte assumono toni volgari, più spesso sono misurati nella gestualità. Nel presepe napoletano il paesaggio diventa uno sconfinato scenario teatrale dove, ponendosi a profitto la cartapesta, il sughero, i mattoncini, la tela dipinta, erba e terra, si esibiscono all’osservatore ubertose vallette, vulcani fiammeggianti, fiumicelli e torrenti, archi e colonne spezzate, avanzi di templi romani, capanne di contadini. Chi architettava il “masso” concepiva la Palestina come un angolo della campagna vesuviana. Negli allestimenti presepiali la modellatura delle figure richiede l’uso dei più svariati materiali: legno, terracotta, bistro, cinabro, stoppa, filo di ferro, cera, pelle, bambagia, mentre ogni sorta di stoffa è impiegata per vestire i pastori, dalla flanella alla seta, al raso, al broccato, al velluto, al damasco e tutto questo multicolore materiale viene accuratamente cucito e arricchito con merletti, ricami, fiocchi e nastri. Molte di queste stoffe trovano il loro pendant ingrandito in quelle usate nella Real Fabbrica di S. Leucio, voluta da Ferdinando IV in linea con gli insegnamenti illuministici dell’epoca.
Una comunità operaia di setaioli, vera e propria “Città del Sole”, dove l’uomo osservando le leggi per lui preparate dalle menti illuminate dei Re, può vivere felice, senza preoccupazioni per il domani, guardando al lavoro quale possibilità di integrazione con l’ambiente naturale.
Una colonia tesa a preparare tessuti che conservano ancora il fascino vaporoso e sfuggente, dai colori caldamente miscelati, disposti in spazi e forme dal ritmo alternato di geometrico, floreale e astratto.
Altre interessanti notazioni di costume si possono ricavare osservando il corteo dei Magi, turba multicolore di sultani, odalische, araldi, cammellieri, palafrenieri, guidatori di elefanti, portatori di bagagli, suonatori, che non mancavano di fornire un pretesto per realizzare immagini di orientali di ottima fattura e agli animalisti per fantasticare avidamente su leoni, cammelli, scimmie.
L’interesse dei Borbone per i presepi diviene motivo conduttore applicabile a Carlo III e alla devota regina Amalia, per l’occasione sarta di figure presepiali:
“…Era cosa mirabile vederlo a certe ore sfaccendate del giorno con le regie sue mani impastare de’ mattoncini e cuocerli e formar le capanne, architettar le lontananze, situarvi i pastori e tener tutto pronto per la sacratissima notte del Santo Natale.”
La Casa Reale trova, quindi, un pretesto per una presenza tra i sudditi con uno strumento non trascurabile di affermazione e di propaganda. Un’occasione festaiola e spettacolare a sostegno di una pratica persuasiva di consenso, ma anche una forma comunicativa della sacralità nobiliare, carica di forza immaginativa e di significati simbolici.
Così le esigenze del potere si ritrovano interamente soddisfatte intorno alle magiche fantasticherie del presepe napoletano, mondo di sogni e di utopie che è anche fuga dal contingente in un’atmosfera malinconicamente sfuggente. Quando poi verrà meno il lustro delle grandi casate e la Corte con la nobiltà napoletana si defileranno da questo costoso hobby, turbate dagli eventi politici ed economici, queste complesse composizioni plastiche si disperderanno nei rivoli del collezionismo privato e i pochi presepi cortesi che ancora si possono ammirare nelle chiese di Napoli, rispondono solo a funzioni turistiche.

Oggi il regno del presepe è soprattutto il vicolo di San Gregorio Armeno, pittoresco e carico di dolci sorprese, dove è particolarmente piacevole sostare e ammirare un’arte antica e affascinante. Un lavoro lento e ammirevole, un mondo ancora ingenuo e pacifico che si collega all’insuperata tradizione settecentesca.
Tutt’intorno la vita pulsante del ventre di Napoli e i volti di vecchi, giovani, bambini che sembrano essere parte di quella umanità che per primo Caravaggio elesse a soggetto
delle sue tele."

 


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