ulisse_e_le_sirene_di_positano_antonio_parlatoAutore: Antonio Parlato
Titolo: Ulisse e le sirene di Positano
Descrizione: Volume in formato 8°; 125 pagine.
Luogo, Editore, data: Napoli, Colonnese, 2006
Collana: 
ISBN: 9788887501711
Prezzo: Euro 13,00
Disponibilità: In commercio

 


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Un viaggio tra storia e mito: in “Ulisse e le Sirene di Positano”, di Antonio Parlato, la leggenda di queste creature magiche e mortali, contornata da un analisi minuziosa dei suoi aspetti letterari e artistici, si intreccia con la storia di quei luoghi che le hanno viste protagoniste, croce e delizia dei naviganti.



L’autore, avvocato specializzato in diritto marittimo, aereo e dei trasporti, descrive il suo lavoro come una “provocazione”, “provocatio”, nel senso latino del termine, l’ultimo appello rivolto al popolo romano. Un appello che qui è in favore di Positano e della costiera: non solo mare e lusso, ma soprattutto leggende e tradizioni.
Vale la pena di richiamare alla memoria quella affascinante delle Sirene, che con il loro canto suadente ammaliavano i marinai, facendoli poi schiantare sugli scogli, e per questo Dante, nella Commedia le definisce streghe. Il loro nome può avere più di una derivazione: il semitico sir, che vuol dire paralizzare, il greco seirios, incandescente, o seirà, legame.

Le creature vivevano appollaiate sui tre scogli de Li Galli, chiamati appunto “Sirenuse”, al largo della penisola sorrentina, in origine non le sinuose donne-pesce dell’immaginario collettivo, bensì uccelli dal volto e dal seno di donna. In quelle acque passò Ulisse, durante l’interminabile ritorno a Itaca. Facendosi legare all’albero della nave, egli resistè al fatale canto: le sirene non accettarono la sconfitta, e per la disperazione si gettarono in mare, lasciandosi annegare. Dei corpi senza vita di Partenope, Leucosia e Ligea, il primo giunse nel Golfo di Napoli e si arenò sulla spiaggia di Santa Lucia, dando il nome alla città.

Qui alla Sirena fu dedicato un tempio, dove fu venerata come una divinità. E il patrimonio archeologico ritrovato sotto piazza Municipio, durante gli scavi per la metropolitana, reca testimonianze di questo antichissimo culto. E’ persino riscontrabile un’analogia tra sacro e profano: Santa Patrizia, i cui resti mortali riposano nel Monastero di San Gregorio Armeno, naufragò sulle nostre coste, mentre erra diretta in Terra Santa. In via Giuseppina Guachi Nobile, nel centro storico di Napoli, c’è la fontana di Spinacorona, copia dell’originale del Museo di San Martino.

Dai seni di Partenope, ancora in forma di donna-uccello, che sovrasta il Vesuivio che erutta, sgorgano acque che spengono le fiamme. Creatura ambivalente, dunque, che in vita uccideva, ma dopo la morte assume con l’acqua un ruolo salvifico.
Tratto da "Positano News" di Redazione PN - 29 agosto 2006

 


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