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Titolo: Costabile Carducci e i moti del Cilento nel 1848
Sottotitolo:
Introduzione di Giuseppe Galzerano
Descrizione: Volume in formato 8°; 448 pagine; foto in b/n nel testo
Luogo, Editore, data: Casalvelino Scalo (SA), Galzerano, 2022
Collana:
ISBN: 9788895637525
Condizioni: Nuovo
Note: Seconda edizione
Prezzo: Euro 30,00 (Edizione cartonata, Euro 40,00)
Disponibilità: In commercio
Nel 1848, I'anno delle barricate europee contro il dispotismo e Ia tirannia, con i popoli che reclamano democrazia, libertà e migliori condizioni di vita e le cui lotte segnano la nascita dell'era moderna, anche il Cilento, martoriato e indomito, definito (dalla polizia borbonica «la terra dei tristi, dei ribelli e delle rivoluzionari», insorge e lotta per migliori condizioni di vita politica e sociale.
II 1848 rappresenta la primavera e la rinascita del popolo cilentano che dimostra di non temere la repressione borbonica, che appena vent'anni prima era stata particolarmente dura e spietata per domare la rivolta del 1828.
I moti scoppiano per motivi politici e sociali e nel Cilento, la terra dclla protesta continua e vivente, coesistono due rivoluzioni: la democratica che aspira alla conquista della libertà, e la sociale che aspira alla conquista della terra.
L'insurrezione cilentana del 1848 costringe Ferdinando II a concedere la Costituzione, che per i contadini significa il diritto al possesso della terra. Quando il re di Napoli non riconosce più la Costituzione, il Cilento - dove il grido di libertà ha un antico e fortissimo
fascino - prende le armi, unico in Italia e in Europa, per la seconda volta nel mese di luglio.
Ad animare la rivoluzione Costabile Carducci, di Capaccio, eletto deputato al Parlamento napoletano e poi vigliaccamente fatto assassinare sulla spiaggia di Acquafredda da Vincenzo Peluso, un sanguinario prete di Sapri, premiato per il suo delitto dalla dinastia borbonica.
II processo agli assassini di Carducci dura trentacinque lunghissimi anni, sia per l'interessata lentezza della magistratura borbonica sia per la incomprensibile complicità della giustizia dell'ltalia unita. Cosi nel 1883 tutto finì «all'italiana»: nessuno dei colpevoli pagò per il barbaro assassinio del combattente e parlamentare cilentano.
All'epopea cilentana del 1848, Matteo Mazziotti, discendente da un'antica famiglia di cospiratori cilcntani, nel 1909 dedicò due volumi che costituiscono una miniera di notizie e di aneddoti per ricostruire fatti e avvenimenti, senza tralasciare quanto accadeva nelle
altre province del Regno di Napoli e nel resto d'ltalia.
L'opera, ormai introvabile, viene riproposta per venire incontro a quanti desiderano conoscere e approfondire la storia risorgimentale del Cilento e del Meridione, ma anche per rendere omaggio alla rivoluzione, al Cilento e ai suoi uomini migliori che, con straordinario coraggio, abnegazione e sacrificio, seppero sfidare a testa alta la dura e sanguinaria repressione borbonica per affermare i diritti dei propri discendenti alla civiltà, al progresso e alla libertà.
La rivoluzione fu però sconfitta dalla reazione borbonica e poi, dal 1860, dai piemontesi, che vollero farsi passare per «liberatori», anche se si comportarono come conquistatori.
II Cilento, Ia «terra dei tristi» di borbonica e poliziesca memoria, con I'unità d'ltalia divenne la «terra dei briganti» e, nonostante le lotte e il sangue dei suoi combattenti, gli fu negato un avvenire dignitoso, condannandolo all'emarginazione, all'abbandono, alla miseria, alla fame e all'emigrazione.
«La sollevazione in effetti fu soffocata a Salerno, ma nella provincia divampò, ed il Cilento, quel Suli della nazione, fedelmente rispose: ho detto il Suli e debbo aggiungere l’Irlanda. Indomito come quello, affamato come questa, il Cilento è una protesta continua e vivente; ed al pari dell’Irlanda porta forse chiuso in seno un avvenire. Il grido di libertà non si fa udire giammai vanamente tra quella gente. Essa è brava, determinata, forte in faccia ai pericoli ed in faccia ai mali, la fame non esclusa. La loro sobrietà è estrema
come la loro miseria; la rassegnazione senza esempio nella storia delle sventure umane. Taciturni, burberi, fieri, odiano per istinto qualunque potere. La loro obbedienza è una protesta: la loro sottomissione una sfida».
Ferdinando Petruccelli della Gattina, La rivoluzione napoletana
«Mentre il popolo siciliano era il primo in Europa a scuotere l’ignobile gioco ed a colpire di terrore il Borbone, il popolo napolitano si limitava alle dimostrazioni disarmate. Solamente nel Cilento una mano di generosi percorse il contado spiegando il vessillo tricolore. Le simpatie che da per tutto trovò questo drappello lo fecero ben presto ammontare a parecchie migliaia. Questa circostanza e l’arrivo a Napoli delle sconfitte truppe della Sicilia, le quali erano ridotte in uno stato miserissimo, acrebbero la paura nell’animo vilissimo del despota».
Carlo Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49