Autore: Francesco Renda
Titolo: Maria Carolina e Lord Bentinck
Sottotitolo: nel diario di Luigi de' Medici
Descrizione: Volume in formato 16°; 168 pagine; illustrazioni a colori
Luogo, Editore, data: Palermo, Sellerio, 2011
Collana: Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura n. 111
ISBN: 9788838925573
Prezzo: Euro 12,00
Disponibilita': In commercio
Nel 1806 la corte Borbonica si trasferì a Palermo costretta dai francesi a lasciare Napoli. Al Palazzo Reale si insediarono il re Ferdinando, la regina Maria Carolina e il principe ereditario Francesco. Fu un esilio non breve e denso di avvenimenti che conosciamo nel dettaglio grazie al Diario di Luigi de’ Medici. Un’affascinante ricostruzione storica che si legge con la curiosità scientifica e il fervore narrativo che solo i grandi storici sono capaci di suscitare.
Tra il 1806 e il 1815 la Sicilia fu la sede del secondo soggiorno del re Borbone, in fuga dai francesi padroni del Continente. Per interessi strategici mediterranei, l’isola fu anche sotto la protezione degli inglesi. In questa cornice maturò la situazione che avrebbe condotto alla Rivoluzione del 1812 e alla famosa Costituzione siciliana «all’inglese», che fu anche la prima costituzione in Italia e l’unica a non essere «concessa». Rivoluzione e costituzione sono state molto studiate. Ciò che invece non è mai stato posto sotto la lente dell’analisi storica è il contraddittorio periodo immediatamente precedente: questo scritto rappresenta quindi un’inedita investigazione.
Vi si fronteggiavano tre poteri in inevitabile attrito: da un lato il Parlamento dei baroni siciliani, un’assemblea feudale dotata di privilegi e libertà finora mai toccate; dall’altro Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, un sovrano assoluto, che ha sempre governato l’isola solo tramite Viceré e mai direttamente, e adesso, rimasto senza altro regno, si trova invece nell’esigenza di un governo diretto; al terzo vertice, determinante, l’Ammiraglio inglese necessitato a fare dell’Isola perno antinapoleonico. In questa drammatica cornice, il susseguirsi concitato degli avvenimenti indusse la Corte del Re della Regina e dell’erede a una mossa dirompente, ossia a impadronirsi, pur contro il parere del suo prudente ministro de’ Medici che venne esautorato, del diritto del Parlamento di imporre tasse. Secondo Renda fu «un colpo di Stato», la cui portata non fu veramente compresa né da chi lo avviò – la monarchia – né da chi lo subì – il baronaggio: «senza il quale la rivoluzione siciliana del 1812 non si sarebbe avuta».
Più che dell’azione dei baroni e degli inglesi, la rivoluzione fu dunque conseguenza diretta di un passo falso, di un errore di calcolo della corona. E solo il generale andamento della storia dopo il 1815 fece sì che l’errore non fosse più radicalmente pagato. Francesco Renda articola e prova la tesi mediante la ricostruzione dei minimi eventi e attraverso la cronaca giornaliera (grazie anche al diario del ministro de’ Medici) dei grovigli di corte. E si legge con la curiosità scientifica e il fervore narrativo che solo i grandi storici sono capaci di suscitare.
Tra il 1806 e il 1815 la Sicilia fu la sede del secondo soggiorno del re Borbone, in fuga dai francesi padroni del Continente. Per interessi strategici mediterranei, l’isola fu anche sotto la protezione degli inglesi. In questa cornice maturò la situazione che avrebbe condotto alla Rivoluzione del 1812 e alla famosa Costituzione siciliana «all’inglese», che fu anche la prima costituzione in Italia e l’unica a non essere «concessa». Rivoluzione e costituzione sono state molto studiate. Ciò che invece non è mai stato posto sotto la lente dell’analisi storica è il contraddittorio periodo immediatamente precedente: questo scritto rappresenta quindi un’inedita investigazione.
Vi si fronteggiavano tre poteri in inevitabile attrito: da un lato il Parlamento dei baroni siciliani, un’assemblea feudale dotata di privilegi e libertà finora mai toccate; dall’altro Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia, un sovrano assoluto, che ha sempre governato l’isola solo tramite Viceré e mai direttamente, e adesso, rimasto senza altro regno, si trova invece nell’esigenza di un governo diretto; al terzo vertice, determinante, l’Ammiraglio inglese necessitato a fare dell’Isola perno antinapoleonico. In questa drammatica cornice, il susseguirsi concitato degli avvenimenti indusse la Corte del Re della Regina e dell’erede a una mossa dirompente, ossia a impadronirsi, pur contro il parere del suo prudente ministro de’ Medici che venne esautorato, del diritto del Parlamento di imporre tasse. Secondo Renda fu «un colpo di Stato», la cui portata non fu veramente compresa né da chi lo avviò – la monarchia – né da chi lo subì – il baronaggio: «senza il quale la rivoluzione siciliana del 1812 non si sarebbe avuta».
Più che dell’azione dei baroni e degli inglesi, la rivoluzione fu dunque conseguenza diretta di un passo falso, di un errore di calcolo della corona. E solo il generale andamento della storia dopo il 1815 fece sì che l’errore non fosse più radicalmente pagato. Francesco Renda articola e prova la tesi mediante la ricostruzione dei minimi eventi e attraverso la cronaca giornaliera (grazie anche al diario del ministro de’ Medici) dei grovigli di corte. E si legge con la curiosità scientifica e il fervore narrativo che solo i grandi storici sono capaci di suscitare.