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Autore: Nicolò Lombardo
Titolo: La ciucceide
Sottotitolo: O puro La reggia de li ciucce conzervata
A cura di Ada e Gioacchino Scognamiglio
Edizione a tiratura limitata di 990 esemplari numerati da 1 a 990 oltre a 90 esemplari fuori commercio
Descrizione: Volume rilegato, con sovraccoperta, in astuccio rigido,  in formato 8° (cm 20,5 x 14); 269 pagine
Luogo, Editore, data:Roma, Bulzoni, gennaio 1974
Collana: Collezione di testi Dialettali Napoletani, diretta da Enrico Malato. N. 19
Prezzo: Euro 35,00
Disponibilita': 1 esemplare

 


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INTRODUZIONE
“ È forse la sola fra tutte le ville dell'Arenella cui giustamente compete il nome di villa; essendo in mezzo alla campagna, ed avendo e fuori e dentro belli giardini, belli boschetti, belle peschiere e fontane, e una quantità di piante rare, e di rari e vaghi fiori “. Così il medico Tommaso Fasano, nelle sue Lettere villeresche scritte da un anonimo a un amico (Napoli 1779) ci descrive la villa de Alteriis quale era all'incirca alla metà del Settecento. E ancora oggi, percorrendo la via Domenico Fontana che da Piazza Muzii sale verso Cappella dei Cangiani, attraverso un'alta inferriata si può ammirare un boschetto di lecci e di pini in mezzo al quale si intravede la solida e armoniosa costruzione della metà del sec. XVII, che ha eccezionalmente resistito all'opera distruttrice degli uomini e del tempo: la villa fu costruita infatti intorno ai 1651 su ordinazione di Giuseppe Donzelli (1586-1670), medico speziale e storico, di cui Gaetano de Alteriis sposò la figlia Laura  il 5 marzo 1687.

La zona denominata Arenella - che un tempo era un'amenissima collina nelle immediate vicinanze di Napoli, ed è oggi un popolosissimo quartiere cittadino - era del resto disseminata di ville e di casine di campagna appartenenti a cospicue famiglie napoletane o a noti personaggi della cultura e delle professioni liberali che vi si recavano a villeggiare durante le lunghe stagioni estive. E spesso accadeva che i lunghi periodi di sereno soggiorno, lontano dalle cure professionali, trascorsi come si soleva dire « in campagna”, davano occasione a piacevoli riunioni conviviali, talvolta a sfondo più o meno culturale, anche in armonia con il rigoglioso fiorire di sodalizi accademici che, com'è noto, caratterizzò la vita culturale napoletana del Seicento e del Settecento.
Qualcosa del genere avvenne nella primavera del 1724 nella ricordata villa de Alteriis. Là si davano convegno i dotti estivanti dell'Arenella che, verso sera, si ritrovavano in casa di Gaetano de Alteriis, illustre clinico che ricopriva la carica di Vice-Cancelliere nell'Almo Collegio dei Medici Napoletani ed era medico di fiducia della nobiltà cittadina e dei più ricchi monasteri. L'amabile vecchio ci viene così presentato dal Lombardo nel prologo del suo poemetto eroicomico:

No bello viecchio, e de li meglio miedece
che sso' a lo juorno d'oie pe tutta Napole;
va pe ttutte le ccase de sii Princepe,
trase a ttutte li meglio monasterie,
è bbice-cancelliero a lo Collegio,
s'abbusca le mmognòle co lo cuofano
e sse chiamma Jatàno de l'Auterie.

Nel corso di una di queste riunioni, poiché si era proprio nel mese di maggio, e precisamente « ... a ll'unnece o a li dudece / de chill mese che li ciucce arragliano », si decise di fondare un'Accademia intitolata agli Asini, con lo scopo di celebrare le glorie di questo animale tanto vilipeso e pur tanto utile all'uomo. L'intento era dichiaratamente scherzoso, ma il Galiani, riferendo l'episodio nel suo Dialetto Napoletano, ne coglie secondo il Nicolini anche l'ironico fine di « punzecchiare ancora una volta la Reale Accademia delle Scienze » (cfr. F. Galiani, Del Dialetto Napoletano, ed. a cura di F. Nicolini, Napoli 1923, p. 267). Conviene qui ricordare che proprio in quegli stessi anni, sempre in casa di Gaetano de Alteriis, teneva le sue adunanze anche un'altra Accademia assolutamente seria questa - fondata dal figlio del de Alteriis, il sacerdote Ciro (1694-1775), che fu poi vescovo di Monopoli e quindi di Acerra, e per la sua vasta erudizione era assai stimato negli ambienti colti del tempo. Essa si chiamò, dal nome del suo fondatore, Accademia Alteriisiana e trattò di materie ecclesiastiche, di scienze varie, di poesia e di lettere amene.

Di questa Accademia, come dell'altra, scherzosa, intitolata agli asini, era socio anche il nostro Lombardo. E ciò forse spiega l'equivoco nel quale, rifacendosi al Minieri-Riccio (Cenno storico delle Accademie fiorite in Napoli, in ASPN, 1879, pp. 165-167), cade il Maylender Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1926, vol. I, pp. 160-162), che dando conto nella sua opera dell'Accademia Alteriisiana dice: « A questa letteraria assemblea si riconduce l'opera notissima di Nicola Lombardi La Ciucceide ... », senza far cenno all'altra Accademia creata da quella compagnia di dotti « no' a dderitto, ma p'abburlare e rridere », quell'Accademia degli Asini in seno alla quale nacque, appunto, il « Poemma Arrojeco» del Lombardo.


Invitato a far parte dell'Accademia, i cui soci dovevano comporre “matrecale e canzune 'ncoppa a ll'Asene », Nicolò Lombardo. allora giovane avvocato, come suo contributo scrisse in breve tempo La Ciucceide, o puro la Reggia de li Ciucce conzarvata, poema eroicomico composto di quattordici canti, chiamati coerentemente arragliate, in ottava rima. L'A. dava lettura di queste arragliate man mano che le componeva, e alla fine la sua fatica fu coronata da tanto successo, fra gli amici del sodalizio, che essi stessi vollero pubblicarla e vide infatti la luce nel 1726, sotto il nome anagrammatico di Arnoldo Colombi (lo scioglimento dell'anagramma, per altro, chiarisce che il nome del nostro Autore era Lombardo e non Lombardi, come generalmente si scrive). Fu così tramandata un'opera scritta col sorriso sulle labbra, per diletto e per dilettare gli amici, che però ha un suo notevolissimo valore letterario e si può ben collocare tra le opere più pregevoli della letteratura dialettale napoletana del Settecento, che anche il Galiani, severissimo critico del Basile, definì «lavoro cosí grazioso e finito in ogni sua parte che ... può riguardarsi come la più bella produzione tralle nostre e compararsi alle più lepide di qualunque nazione » (op. cit. p. 200).


Purtroppo di Nicolò Lombardo che pure, si diceva, fu uno dei più originali e piacevoli poeti dialettali napoletani del Settecento, si hanno pochissime notizie biografiche. Nel compilare nel 1779 il « Catalogo degli scrittori del basso dialetto napoletano in prosa e in rima », che inserì poi nel volume Del Dialetto Napoletano, l'Abate Galiani ci dice soltanto che il Lombardo fu dotto e virtuoso avvocato, che poi, avviatosi nelle magistrature provinciali, morì nel 1749 Capo di Ruota nell'Udienza di Trani” • Né più ci soccorrono altri studiosi, dal Napoli-Signorelli al Liberatore, dal De Ritis al Martorana, i quali tutti, copiandosi l'un l'altro, nulla aggiungono alla scarna informazione del Galiani. Il quale, tuttavia, raccolse in seguito sul Nostro altre notizie che aveva intenzione di inserire nella seconda edizione che andava preparando della sua opera, e che furono poi trovate fra le sue carte. Ce ne informa il Nicolini, che a pagina 303 dell'edizione citata scrive: « Le notizie biografiche dell'Autore della Ciucceide sarebbero state rimaneggiate con l'aggiungervi quel che nel 1780 inviò da Foggia al Galiani ... Francesco Nicola De Dominicis ..., ossia che "il fu don Nicola Lombardi fu in Marzo 1748 eletto Uditore della Dogana da Capo Ruota della Udienza di Trani, continuò in quella carica fino al principio dell'anno 1754, quando per la sua vecchiaia ed acciacchi di salute fu giubilato, destinandosi di lui successore l'altro Capo Ruota di Trani don Gennaro di Ferdinando"; ragion per cui" il sig. Lombardi andò a finire i suoi giorni nella propria casa" in Napoli senza che nell'Archivio della Dogana restasse memoria "se la di lui giubilazione fosse stata onorata di qualche altro grado nel ministero" (cioè nella magistratura) ».

Non è chi non veda la anacronistica contraddizione tra le notizie in un primo tempo pubblicate dal Galiani e gli appunti preparati per la seconda edizione del Dialetto: è chiaro che il Lombardo non poteva essere « giubilato » dal suo incarico di Uditore della Dogana nel 1754 se, come aveva affermato il Galiani, era già morto nel 1749. Forse tra le due píú attendibili sono le informazioni fornite all'Abate dal De Dominicis, sia perché egli scriveva dalla Puglia, dove il Lombardo, negli anni in questione, aveva tenuto il suo Ufficio (e precisa perfino il nome del successore), sia perché, autore della nota opera Lo stato politico ed economico della Dogana nella mena delle pecore esposto alla Maestà di Ferdinando IV (Napoli 1781), il De Dominicis doveva essere in possesso di copiose e precise notizie sulle Dogane pugliesi.

In tanta penuria di dati biografici, gioverà infine ricordare che il Lombardo fu anche membro dell'Accademia del Portico della Stadera, un sodalizio fondato nel 1725 dall'Avvocato Girolamo Morano, del quale fecero parte, tra molti, G. B. Vico, e l'altro poeta dialettale napoletano Nunziante Pagano (cfr. N. Pagano, Batracomiomachia d'Omero, a cura di E. Malato, Napoli 1969, p. 12).

Non si ha notizia di altri scritti del Nostro oltre La Ciucceide, la quale rimane dunque l'unica opera di questo tipico rappresentante della borghesia colta napoletana del primo Settecento, che come questa « chelleta » intende « correjere / li vizie de sti journe ».

Il poemetto, infatti, è l'acuta ma bonaria satira della natura umana e dei costumi del tempo, che corre agile e ben costruita lungo i suoi quattordici canti con uno stile vivace, colorito e straordinariamente aggraziato.

I protagonisti di questa fantastica storia sono Asini e Scimmie che agiscono come uomini, animati da sentimenti, passioni e reazioni cosí acutamente penetrati e tanto vivacemente resi da far spesso dimenticare che si tratta di animali. « L'operetta – scrive Enrico Malato (La poesia dialettale napoletana, Napoli 1960, vol. I. pp. 606-607) ha una solidità di costruzione, uno stile sobrio ma vivace, fresco, colorito, quale solo può trovarsi, forse, nei migliori poemi del Cortese. Asini e Scimmie, protagonisti di questo mondo fiabesco - ma non troppo - creato dal Lombardo. si muovono, agiscono, pensano come uomini, talvolta anzi il lettore si distrae e crede proprio che si tratti di uomini, ma basta acuire appena un po' l'attenzione per veder subito affiorare la     natura asinina o scimmiesca, la loro logica prettamente bestiale, nei pensieri e nelle azioni: la quale però, e qui è il merito principale del poemetto, non distrugge la primitiva impressione, che presto vien fatto di chiedersi se abbiamo davanti asini e scimmie che agiscono e pensano come uomini, o non piuttosto uomini che agiscono e pensano da bestie. E il dubbio dura fino alla fine, talvolta solleticato scopertamente dallo stesso A., quando convince che esso non ha ragione di essere in quanto, siano e scimmie gli uomini o viceversa, resta il fatto che non c'è differenza tra gli uni e gli altri, e termine di paragone resta seme soltanto, il ciuccio ». Da questo contrasto fiabesco nasce il carattere scherzoso e sornione che rende il poemetto di godibilissima lettura, e realizza in pieno l'intento dell'Autore di fare opera di sommo diletto per sé e per il lettore.

 


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