speranzella_carlo_bernariAutore: Carlo Bernari
Titolo: Speranzella
Romanzo
Introduzione di Giacinto Spagnoletti
Descrizione: Volume in formato 16° (cm 18,5 x 11); 194 pagine; copertine leggermente sciupate
Luogo, Editore, data: Verona, Arnoldo Mondadori, 1972
Collana: Gli Oscar
Disponibilità: No

 


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Il romanzo, benché "corale", è praticamente accentrato su due figure femminili: la "Caffettèra" donn'Elvira e Nannina, una ragazza che ha sofferto e soffre le privazioni e i pericoli della guerra e del dopoguerra. Stanca di faticare col contrabbando di generi alimentari per conto del cognato e della sorella, Nannina cerca rifugio e protezione presso l'autorevole "Caffettèra" del "Bar Babilonia" alla Speranzella, la lunga strada che attraversa i "Quartieri", uno tra i piú caratteristici rioni di Napoli; la donna l'accoglie benevolmente, convinta da un "mago", il commendator Vincenzo Lonegro, rispettato dal popolino col soprannome di "Professore" soprattutto per la sua veste di venditore di speranze, che Nannina porterà fortuna a lei e alla causa monarchica. Donn'Elvira è convinta di possedere qualità di veggente: ne ha avute alcune prove, e una chiarissima ne avrà "vedendo" Nannina subire un tentativo di stupro da parte di un soldato americano, che poi la accuserà di essere portatrice di sifilide. Di questa sua riconosciuta superiorità donn'Elvira si avvale per organizzare manifestazioni e raccogliere fondi a favore della monarchia. Il signor Mele, un nobile spiantato che ha però rifatto soldi trafficando con "gli inglesi", le dà centomila lire per la "causa"; la Caffettèra le nasconde, ma poi ' non trovandole piú, accusa ingiustamente del furto il figlio maggiore, Michele, che abbandona la casa paterna, dove tornerà soltanto per riappacificarsi con la madre morente.
Morta donn'Elvira, la gestione del bar passa al marito, Ciccillo, ex infermiere agli Incurabili, che da tempo ha lasciato l'ospedale per poter curar meglio Nannina, di cui si è invaghito. Nannina e Michele, stanchi di sospetti ingiusti, di incomprensioni e desiderosi di una nuova vita, partono insieme segretamente per il Nord, e li si crede invece morti in mare; Pascalotto, il figlio minore della Caffettèra, che non riesce a vivere senza il fratello, vuole seguirlo anche nella morte, e si lascia affogare, proprio poco prima che giunga una lettera di Michele.

La vita della Speranzella emerge dalle pagine del romanzo con tutta la sua vivacità, senza però nulla cedere al folklore: Bernari è troppo attento come sempre - e in Speranzella il pericolo di una sbandata è sempre in agguato - alla situazione storica e umana del mondo che rappresenta. Anche in questa occasione, dunque, come "tutte le volte che Napoli viene guardata, vista, rappresentata, narrata, indagata a fondo, senza facili concessioni pietistiche o macchiettistiche, Napoli si trasforma in quella che essa è: una città grigia, violentata da secolari ingiustizie, con un piede ancora nella barbarie, nell'idolatria e nella superstizione, una città che è un perfetto mondo compiuto, chiuso come un impenetrabile uovo e di cui, sfortunatamente, c'è ben poco da ridere. Coloro che hanno tentato di penetrare in questo uovo buio e pieno di labirinti e trabocchetti quasi sempre non hanno ottenuto vittoria, ma a tratti hanno illuminato vaste zone di questo regno pressoché inedito. Coloro invece che si sono ridotti a passeggiare in su e in giú per la bella, lucida, splendida superficie dell'uovo, infischiandosi di quanto potesse esservi dentro, ma credendo di aver scoperto chi sa che cosa, mentre in realtà avevano fotografato gli esterni di codesto mondo, sono stati considerati i veri interpreti".
Il fatto è che i personaggi di Bernari, e particolarmente ì molti di Speranzella, non cadono mai nel bozzetto anche là dove sono fortemente caratterizzati, perché lo scrittore vi trasferisce con naturalezza l'elemento storico documentario; ed è sovrapposizione che se da un lato tiene lontana l'invenzione dal facile colorismo, dall'altro fa lievitare l'elemento politico e morale del romanzo in figure "verosimili" che mai sono inerti, pesanti burattini-involucro di messaggi piú o meno accettabili.
Preminente è poi in Speranzella la struttura dialogata; il che permette all'autore di restar fuori dalla sua narrazione, di vedere fatti e personaggi muoversi sul grande palcoscenico della via popolare e di descriverli senza soggettivismi pericolosi.
Il "distacco" dell'autore, che sembra riprendere in chiave solo leggermente variata l'espediente della didascalia-riassunto da cantastorie apposta all'inizio di ogni capitolo di Tre operai, realizza la straordinaria temperie di "presa diretta", d'immediatezza e spontaneità d'azione con mezzi semplicissimi.

Per concedere ai personaggi tutta la loro autonomia, Bernari ha bisogno di uno strumento linguistico particolare. Il problema era spinoso; lo scrittore si preoccupava di una duplice scelta, circa la realtà e la lingua in cui esprimere quella realtà.
La soluzione adottata da Bernari è la felicissima ibridazione lingua-dialetto di Speranzella; attraverso la quale lo scrittore non intende già localizzare coloristicamente l'azione del romanzo, bensí rappresentare una precisa "realtà" culturale, della quale il dialetto è ambiente, psicologia, modo d'essere e di comunicare. Appare in tutta evidenza in questo "esperimento", come si è avuto già occasione di notare, la presenza del magistero verghiano.
Commento tratto dal sito web ThinkQuest.org

 


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