Napoli_il_Paradiso_Mammuccari_pAutore: Renato Mammucari
Titolo: Napoli. Il paradiso visto dall'inferno.
Iconografia a cura di P. Trincia.
Descrizione: Pregevole edizione rilegata, con titoli in oro al dorso e sulla copertina, con sovraccoperta, in formato 4° (cm 29 x 24); 421 pagine riccamente illustrate completamente a colori.
Luogo, Editore, data: Marigliano (NA), Ler, 2006
ISBN: 88-82644332
Disponibilita': NO

 


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Il volume ricostruisce la storia della pittura napoletana dalle guaches dei Campi Flegrei di William Hamilton alla Scuola di Posillipo. Ricorda 150 letterati, italiani e stranieri, che hanno descritto la citta' di Napoli ed i suoi contorni. Oltre 500 schede di incisori e pittori, sia italiani e ancor piu' stranieri, che hanno rappresentato la Campania Felix.

Il romanzo del Grand Tour, perché si tratta di un vero e proprio romanzo inteso nella sua globalita', non accetta facilmente confini entro cui essere contenuto e, anzi, quell'ansia affannosa che spingeva chi gia' aveva tutto dalla vita, a "correre da un capo all'altro dal mondo" rifiuta di per sé qualsiasi delimitazione di spazio e di tempo.
È, quindi, una inquietudine intellettuale quasi alla ricerca di se stessi, e gia' Seneca in una delle sue Lettere a Lucilio avendo intuito lo stato d'animo del viaggiatore, cosi' gli suggeriva con serenita': «Scegli pure questo o quel paese per essere tranquillo, troverai dappertutto motivi di distrazione. Ma il luogo non contribuisce molto se l'animo non si aiuta da sé; che serve infatti passare il mare e cambiar paese? Se vuoi liberarti da quello che ti tormenta, non occorre che tu sia altrove, ma che tu sia un altro». il nostro è un paese di viaggiatori, come d'altronde è sempre stato «con il contributo di ogni ceto, dal milord con tanto di seguito, a colui che ha per compagno soltanto la sua ombra.
Nessuno ha bisogno di accampare scuse: se uno è ricco, viaggia per divertirsi; se povero, per tirarsi su; se è malato, per guarire; se è dedito agli studi, per imparare; se colto, per trovar svago dall'applicazione», cosi' scriveva Samuel Rogers nella premessa al suo fortunatissimo poema in versi Italy; e, sempre questo raffinato poeta inglese, appena giunto a Napoli esclamava: «Questa regione non è della terra» e, subito dopo, si chiedeva con ancor maggior enfasi «Non sara' caduta dal cielo?».

Come Goethe, nuovi pellegrini dell'arte, "beniamini degli dèi", fuggivano di notte, magari in incognito, per sottrarsi agli ingranaggi sociali e negarsi anche ai vincoli affettivi piu' appassionati: erano le migrazioni del viaggio in Italia. In questo mondo arretrato, nella sua societa' arcaica, scrittori, poeti, letterati, ma soprattutto pittori, inseguiranno il mito irresistibile della liberta': era l'Italia dei contrasti, tra antico e moderno, dove il Medioevo era ancora di casa e in un confronto senza soluzione di continuita' tra la storia e l'eterno questi uomini sognavano di respirare l'improvvisa rivelazione, l'intuizione momentanea.
Arrivavano prima a Roma e subito dopo a Napoli soprattutto dal nord e nel mese di ottobre, considerato "il piu' favorevole per un soggiorno" in queste citta', quando le piogge autunnali rinfrescavano l'aria; la sosta si protraeva sino ai primi di maggio quando - è sempre il clima a condizionare le scelte - il caldo diveniva "pressoché intollerabile". Se Roma era da considerarsi la tappa prefissata del viaggio, sicuramente non ne costituiva, però, la meta ultima, infatti, subito dopo aver visitato le Mirabilia Urbis, l'interesse del viaggiatore era inevitabilmente catturato dalla circostante Campagna che, pur «meno fertile di altre terre per l'arte del paesaggio col suo aspetto melanconico di fronte alla giocondita' napoletana, austero di fronte alla gentilezza toscana, selvaggio di fronte alla cultura lombarda», per Ugo Fleres era un "tema" che colpiva ed affascinava al pari della Campania Felix gli artisti e gli intellettuali che si avvicinavano a quei luoghi con entusiasmo e trepidazione, quasi intimiditi.
Per rimanere a Goethe due erano le cose che in Italia lo interessavano in modo particolare: l'Orto Botanico di Padova, ove ebbe modo di studiare la collezione di piante piu' varia che avesse mai visto, ed il Vesuvio dove sali' appena arrivato a Napoli; a seguito dell'escursione sul cratere dedusse, se non cognizioni scientifiche - a causa del fumo e del vapore giudicò infatti lo «spettacolo ne istruttivo ne allegro» - perlomeno spiegazioni sul carattere dei napoletani cosi' esuberante perché «si sentono prigionieri tra Dio e Satana».

Era quasi un luogo comune, infatti, considerare Napoli un lembo del paradiso ed il Vesuvio lxinferno tanto che Chateaubriand, non appena sali' sulla cima fumosa guardando la lontana Napoli, compendiò l'immagine scrivendo: «È il paradiso visto dall'inferno», un paradiso abitato da diavoli per dirla con Croce. Antitesi che ritroviamo intatta nei due elementi che da sempre caratterizzano la regione campana: il fuoco, il cui sovrano non può che essere il Vesuvio che tra una stasi ed un pericoloso risveglio, in maniera sempre violenta ed inaspettata, ha dispensato per secoli la vita e la morte, e l'acqua nella quale si specchia la citta' di Napoli, nata secondo la mitologia dalla vaga leggenda delle Sirene.
Oggi a distanza di circa due secoli sia lxinferno che il paradiso non sono piu' quelli di una volta. Se da una parte, infatti, il Vesuvio ha perso quel caratteristico pennacchio di fumo tanto caro ai turisti ed alla piu' consumata iconografia napoletana, finendo per somigliare piu' ad una comune montagna che al tanto temuto vulcano, dall'altra parte quel mare e quella terra di bellezza sono stati popolati piu' del necessario, e comunque piu' del tollerabile, perlomeno per chi è convinto, come lo sono io, che almeno del paradiso si dovrebbe avere un minimo di rispetto.

 


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