l_uomo_dell_ultimo_tiroAutore: Sante Roperto
Titolo: L'uomo dell'ultimo tiro
Sottotitolo: La biografia di Nando Gentile
Prefazione di Luca Chiabotto
Introduzione di Mario Arcieri
Descrizione: Volume in formato 8° (cm 21 x 15); 216 pagine
Peso: Kg 0,3
Luogo, Editore, data: Napoli, Graf, 2012
Collana: Napoli Sport
ISBN: 9788889433294
Disponibilità: No

 


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Nando Gentile è la storia del nostro basket ed è soprattutto lo specchio di Caserta, città che ha portato con altri validissimi concittadini (allenatore e compagni, Enzino Esposito e Sergio Donadoni tra gli altri) alla vittoria dello scudetto nella stagione 1990-91, mettendo così fine allo strapotere delle società del Nord. La vita di Nando è come un romanzo, e come tale merita di essere narrata e letta, scoprendo a ogni pagina un angolo d'ironia, di commozione, di partecipazione sincera, di confessione e di orgoglio. Perché l'orma che Gentile ha impresso nel basket e nello sport italiani è stata così importante e significativa da meravigliare, semmai, che finora nessun altro scrittore avesse pensato a fissarla sulla carta. Nando Gentile è l’equivalente nel basket del Maradona napoletano. E il ricordo di uno dei più grandi del basket italiano si perpetua nel racconto di chi lo ha incontrato, di chi ha avuto la fortuna di esserci. Sante Roperto ripercorre, documenta e approfondisce tappa dopo tappa l’evoluzione di Nando offrendoci lo spaccato umano e tecnico di uno tra i più grandi campioni dello sport italiano.

Mario Arceri  - Introduzione
Lo ricordo adolescente crescere al fianco di Slavnic, il genietto di Spalato che ci fece piangere lacrime amare ai Giochi di Montreal, l’ho rivisto coach in Serie A a Roma, e lo vedo ora genitore attento del miglior talento giovane della pallacanestro italiana. Nando Gentile è la storia del nostro basket ed anche (troppo scontato e un po’ retorico?) l’orgoglio del Sud almeno per quanto attiene i confini non piccoli dello sport che amiamo. È soprattutto lo specchio di Caserta, città in cui è nato e che ha portato con altri validissimi concittadini (allenatore e compagni, Enzino Esposito e Sergio Donadoni tra gli altri) allo scudetto. Basterebbe questo per renderlo personaggio insigne e indimenticabile, e invece Nando ha aggiunto al suo mito tante altre cose: la leadership in Nazionale, gli anni ruggenti di Trieste e Milano al seguito del suo mentore, Bogdan Tanjevic che non esitò a buttarlo quindicenne nella mischia, l’esperienza gloriosa di Atene al fianco di un altro grandissimo campione e sodale in mille avventure, Dejan Bodiroga. Di Nando Gentile si è scritto molto e di più. Perché dunque addirittura un libro su di lui? Le risposte sono molte. Una, e la più scontata, perché Sante Roperto, così innamorato della sua città e della sua squadra, dopo il successo della prima opera sulla Juvecaserta – documentata e appassionata, ed anche un po’ amara –, non poteva non focalizzare l’attenzione sul personaggio più grande che il club bianconero abbia mai avuto, producendo un racconto ricco di suggestive tensioni. La seconda perché la vita di Nando è come un romanzo, e come tale merita di essere narrata e letta, scoprendo ad ogni pagina un angolo di ironia, di commozione, di partecipazione sincera, di confessione e di orgoglio. La terza – e qui mi fermo, anche se potrei andare ancora avanti, rubando però il… mestiere a Sante, – perché l’orma che Gentile ha impresso nel basket e nello sport italiani è stata così importante, significativa e per certi versi innovativa da meravigliare, semmai, che finora nessun altro scrittore avesse pensato a fissarla sulla carta. Ed ecco così che fin dalla prima pagina di questo libro Sante ci regala momenti eccezionali di lettura. Merito dello scrittore, alle prese con un soggetto non certo facile da riprodurre con le parole, merito soprattutto di Nando che in questo libro si mette a nudo ripercorrendo una carriera eccezionale con la stessa semplicità un po’ meravigliata che lo ha accompagnato dai primi canestri ad oggi. Gli ho visto muovere i primi passi sul parquet, sorpreso dalla maturità cestistica di uno ‘scugnizzo’ che si permetteva, sotto lo sguardo lungo di Tanjevic, di comandare a bacchetta compagni di assai più lunga milizia e dal pedigree non di rado nobile. Ho seguito i suoi progressi ammirandone la genialità delle giocate, soprattutto il coraggio e il cuore (mai l’avventatezza) che esprimeva in campo. Se amo Caserta, Nando è il primo… colpevole. Ma come non lasciarsi coinvolgere dalla passione che quest’angelo dalla faccia sporca sapeva guadagnare per sé e per la sua squadra? Andrò sul romantico, ma tra i ricordi più belli di quarant’anni di vita nel basket, forse quello sentimentalmente più intenso e ancora oggi da brividi è quel canto che accompagnava al PalaMaggiò gremito ben oltre la capienza le imprese più belle  dell’uomo dell’ultimo tiro della Juve: “Oje vita, oje vita mia, oje cor’e chistu core, si stata ’o primm’ammore: ’o primmo e ll’ultimo sarraje pe’ me!”. ’O surdato ’nnammurato’, l’inno di una squadra che interpretava l’anima di un’intera città davvero perdutamente innamorata dei suoi ragazzi, che dalle note e dalle parole di una delle canzoni tra le più belle del repertorio classico napoletano, trovava il ritmo per macinare la supponenza degli avversari (niente nomi, per carità). E a dettare il ritmo, a dirigere l’orchestra dei canestri casertani, c’era lui, Nando Gentile, con il suo cuore, il suo coraggio, la sua spregiudicatezza. Quelli furono anni di incredibile passione: le tre finali con Milano, solo l’ultima vinta e proprio nella città lombarda con Marcelletti in panchina, contro tutti e contro tutto, dopo aver meritato di vincere anche le altre due, la finale di Atene con il Real Madrid, sfortunata ma che rappresenta forse la partita perfetta per la stupenda e indimenticabile esibizione dei tre grandi campioni: Drazen Petrovic, Oscar, Nando Gentile, oltre 140 punti in tre. Il ricordo di quegli anni si perpetua nel racconto di chi li ha vissuti, compreso il clima da ‘tupamaros’ che si respirava al PalaMaggiò. Fu Dan Peterson a coniare dispregiativamente quel termine per Tato Lopez, non sapendo che gli faceva un complimento, moltiplicandone la vis agonistica. Ma solo chi ha avuto la fortuna di esserci, di ubriacarsi in quell’atmosfera da grande impresa, di percepire come e quanto un evento di sport può essere coinvolgente per un’intera città esaltandone il senso di identità e di appartenenza, può comprendere fino in fondo il significato sociale e morale, più ancora che sportivo, della spensierata ed esaltante corsa che Gentile guidò a Caserta. Il racconto di Sante Roperto farà rivivere quegli anni, unici per una pallacanestro che sapeva ancora esaltare e farsi amare grazie allo spessore dei suoi protagonisti, alla valenza delle sue sfide, ai nomi (per otto decimi italiani, e per i restanti due di autentici fuoriclasse stranieri) che portava in campo. Come tutte le storie belle, anche quella di Gentile e della sua Caserta ha una fine, dopo undici ininterrotte stagioni. Non si ferma tuttavia la crescita del giocatore e dell’uomo. Trieste e Milano seguendo Tanjevic, con un secondo scudetto, prima del viaggio ad Atene: tre stagioni con il Panathinaikos di Obradovic, tre titoli greci e la vittoria in Eurolega. 132 presenze in Nazionale (l’esordio proprio a Caserta contro Israele, nel 1986 chiamato da Valerio Bianchini: 14 punti) e 962 punti in totale, ma soprattutto un argento europeo con Sandro Gamba e l’oro ai Mediterranei con Ettore Messina. Con tali maestri, la panchina era nel suo dna. Una carriera rapida che lo ha già portato a vivere una prestigiosa ma amara esperienza sulla panchina di Roma, piazza terribile e vorace, fatale anche a miti come Pesic e Repesa. A quarantacinque anni, è però tornato subito in corsa accettando la sfida e l’invito di Veroli, mentre segue la maturazione dei figli Stefano (salito in Serie A con Casal Monferrato) e Alessandro, il nuovo Gallinari della nostra pallacanestro. Sante Roperto ripercorre, documenta e approfondisce tappa dopo tappa l’evoluzione di Nando offrendoci con grande sensibilità lo spaccato umano e tecnico di uno tra i campioni più grandi dello sport italiano. Io non posso che ringraziare Sante per l’onore, la fiducia, e per avermi dato l’opportunità di scrivere ancora di Gentile, ma soprattutto di tornare con la memoria ad uno dei periodi più affascinanti della storia del nostro sport che Nando, con la sua personalità, ha attraversato da dominatore e con grande leggerezza, sulle labbra sempre un sorriso.

Luca Chiabotti  - Prefazione
Milano, mancano tre giorni a Natale del 2002: in tribuna, 2800 spettatori, in campo due squadre che stanno così così anche se Siena ha fatto lo squadrone per vincere tutto: Alphonso Ford, Mirsad Turkcan, Dusan Vukcevic. Nando ha già deciso che così non si diverte più. È alla Montepaschi da un mese, ha giocato poco anche per un campione che sta per compiere 36 anni. Entra all’inizio del secondo quarto e finalmente la palla arriva a Ford che si accende. Poi Nando va a prendersi un rimbalzo d’attacco e lo trasforma, recupera una palla, segna da due, subisce uno sfondamento e rea- lizza una tripla. Siena mette a segno un parziale di 18-0 e se ne va. Nando se ne va per davvero: sarà la sua ultima partita in serie A, il suo ultimo lampo di grandezza. Pochi giorni dopo, torna a Caserta, in B. Strano, vero, cominciare a parlare di Nando Gentile dalla fine, quando era già vecchio, con la schiena a pezzi. Eppure quella partita dice tutto di lui, di quello che era sempre stato, di ciò che con l’età era ancor più diventato: un grande leader oltre che uno straordinario giocatore di pallacanestro. Facile innamorarsi di lui da giovane, nella spericolata e meravigliosa esplosione di Caserta dalla A2 allo scudetto, nelle finali di coppa in cui Nando regalava emozioni e prodezze pari a quelle di Drazen Petrovic nel momento più alto della sua vita. L’aspetto più affascinante, e secondo me un po’ sottovalutato della carriera di Gentile, è stata la sua trasformazione negli anni in giocatore diverso ma 11 in ogni caso funzionale al successo della sua squadra, prima segnando molto, poi sempre meno ma sviluppando altri aspetti del gioco senza mai perdere la mentalità vincente, la giocata di talento e coraggio che ti fa vincere la partita. Anche nei momenti più bui. Sempre Milano, alla quale Gentile nel 1996 regala l’unico scudetto conquistato dalla fine dell’era di Meneghin, D’Antoni e McAdoo. Nando sta giocando ancora meglio che nella stagione precedente in cui ha vinto il titolo, tira col 48% da tre, colleziona la media assist più alta di tutta la carriera. La Stefanel è prima in Eurolega e seconda in campionato quando Gentile si fa male, molto male: sei mesi fuori. È lì che finisce, un’epopea appena iniziata: il contrasto tra la squadra con Nando e quella priva del suo leader è stridente. Resiste un po’, coraggiosamente, poi va alla deriva trascinando con sé una intera società. Anche se nessuno può esserne sicuro, se Gentile non si fosse infortunato, la storia del basket italiano a cavallo dei due millenni sarebbe stata differente. Un momento particolare? Non cambierei con niente l’emozione professionale e personale vissuta a Salonicco. Anno Duemila, Nando gioca nel Panathinaikos Atene, uno squadrone. Quattordici giocatori, quattro registi, tante stelle: a 33 anni, un campione come lui si trova a dover lottare ogni allenamento per il posto in squadra e qualche minuto in partita. Frustrante, difficile, terribile: scegliete voi. Da lui, Zelimir Obradovic vuole difesa, passaggi, leadership. Tiri pochi, pochissimi. Tutto mentre Nando ha la consapevolezza di essere ancora un giocatore che sa anche fare canestri decisivi. Il Panathinaikos si gioca il titolo europeo col Maccabi con Gentile in quintetto. Finisce con 3 punti ma la squadra, quando è in campo, semplicemente, gioca meglio.

 


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