AAA Immagine Non Disponibile pAutore: Luciano Vasapollo
Titolo: Terroni e campesindios
Sottotitolo: Da sud a sud, per un'educazione alla democrazia popolare della terra
A cura di: Florinda Cambria
Collaborazione di: Paolo Graziano, Rita Martufi
Descrizione: Volume in formato 8°; 264 pagine;  illustrazioni a colori
Luogo, Editore, data: Milano, Jaca Book, marzo 2011
Collana: Di fronte e attraverso
ISBN: 9788816411258
Disponibilità: NO

 


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Con una forma quasi narrativa e con tono molto coinvolgente, l’economista calabrese traccia il dramma contadino del Mezzogiorno d’Italia e delle Ande dal secolo scorso fino ai nostri giorni. La radicale critica a forme, pur diverse, di colonialismo si accompagna al grande respiro di una interpretazione antropologica dell’economia e apre ad orizzonti possibili di giustizia. Il presente volume fa seguito al precedente Dagli Appennini alle Ande. È l’incontro con gli indios andini, in specie boliviani, che, affrancati dalla schiavitù del lavoro in miniera, sono tornati pienamente contadini, a far intuire a Vasapollo la grande possibilità di un presentefuturo in cui ci sia una vera riappropriazione economica e culturale della terra da parte dei contadini dell’intero pianeta.
La proposta, sorretta dall’analisi economica, è radicale: essere fieri dei terroni in Italia e dei campesinos indios in America Latina, chiamati campesindios. Per «vedere» un futuro possibile bisogna però chiamare per nome i disastri e le catastrofi. Non riconoscere che il Mezzogiorno d’Italia ha subìto un esproprio coloniale da parte dei governi e delle forze economiche che hanno gestito l’unità del paese, proprio mentre siamo freschi del centocinquantesimo anniversario, ostacolerà irrimediabilmente la possibilità di un cambiamento. Occorre contestare all’Europa di oggi una pratica coloniale all’esterno, con la partecipazione a guerre dirompenti, e all’interno dell’Unione stessa con sacche di sfruttamento che scavalcano qualsiasi diritto umano.
Il giudizio critico radicale contro le differenti forme di capitalismo coloniale, nella nostra storia peninsulare come nelle relazioni atlantiche, non è separato dalla coscienza della ricchezza dei mondi contadini, mondi che non vanno relegati all’archeologia secondo una mentalità produttivistica, che ha mostrato tutta la sua inefficienza e forma distruttiva, ma ravvisati come occasioni del presente e del futuro.
È così che vivere sulla terra, sapere che ci è vissuta la famiglia del proprio padre e del nonno costruisce un legame che non può essere spezzato da un recinto che sorge dal nulla, da un contratto di compravendita, da un decreto di appropriazione. Ettore nel Sud assolato dell’Appennino, Xavier sui tetti delle Ande hanno lottato per questo, ancor più che per la libertà dallo straniero o l’unità della patria. Hanno lottato perché le terre su cui abitavano, su cui avevano costruito le proprie case, diventassero «il loro paese».

 


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