IL TEMPIETTO D'ARGENTO DI MARIA SS. DELLA NEVE NELLA PARROCCHIA DI A.G.P. IN TORRE ANNUNZIATA - Vincenzo Marasco, Mario QuarantaAutore: Vincenzo Marasco, Mario Quaranta
Curatore:
Titolo: Il tempietto d'argento di Maria SS. della Neve nella parrocchia di A.G.P. in Torre Annunziata
Sottotitolo: Vicende storiche e artistiche per un’opera d’arte napoletana postuma dell’eruzione vesuviana dell’aprile 1906 di Vittorio Emanuele Centonze, Antonio Coppola e Pasquale Cappelli
Presentazione di Renato Ruotolo
Descrizione: Volume in formato 8° (cm 29 x 21); 96 pagine; illustrazioni a colori
Luogo, Editore, data: Nola (NA), Vulcanprint (per conto del Centro Studi Storici “Nicolò d’Alagno”), 2021
Collana: 
ISBN: 9788899742638
Prezzo: Euro 20,00
Disponibilità: In commercio

 


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Il volume ricostruisce le vicende che portarono il popolo di Torre Annunziata a commissionare un Tempietto d’argento per omaggiare il miracolo compiuto dalla sacra immagine della Madonna della Neve in occasione dell’eruzione del Vesuvio del 1906. Fu formato un comitato e bandito un concorso nazionale che decretò l’assegnazione dell’incarico. Gli artisti impegnati nell’opera furono l’argentiere Vittorio Emanuele Centonze, il pittore Antonio Coppola, e il pittore ceramista Pasquale Cappelli. Alcune tracce bibliografiche inoltre, insieme ai confronti stilistici, fanno sostenere la partecipazione dell’architetto Antonio Curri nella fase progettuale dell’opera.

«Per tutti quelli che gli vivevano intorno o nei casolari che si arrampicavano lungo i versanti, il Vesuvio era “’a Muntagna”. Così Bovio e De Curtis lo ricordarono nel 1915 in una delle loro più belle canzoni, “Tu ca nun chiagne”, aperta dal verso “Quant’è bella ‘a Muntagna stanotte”, dove il dolore per l’amore lontano e perduto si consuma in un paesaggio dominato dalla Montagna, viva ma impassibile, bella come non mai, quasi un’anima rassegnata e stanca, “sott’ ‘a cuperta/’e chesta luna janca”. Un’immagine poetica che può intendere appieno solo chi nei campi di lava ha veduto la luna piena levarsi e quasi poggiarsi sul crinale, illuminando forte l’asperità della roccia scabrosa e gli alberi che vi si alternano nei fazzoletti di terra strappati al deserto nero. Un’immagine fin troppo poetica che ben pochi ‘vesuviani’ degli ultimi tre secoli possono aver degustata, piuttosto presi dalla dura, quotidiana fatica di lavorare la terra e di contenderla al vulcano, spingendosi lungo le sue falde a ricreare i campi bruciati e ricostruire case sopra le lave. Sempre con la preoccupazione che quel lento fumare non si potesse trasformare all’improvviso in un cupo vomito di ceneri e lapilli e che i fianchi non si squarciassero sotto la spinta del magma giunto talora fino al mare. Preoccupazioni che non ebbero gli antichi pompeiani o gli uomini del 1631 che perciò pagarono fin troppo caro il loro vivere all’ombra di un monte ferace, apparentemente pacifico ma in realtà sempre pronto a devastare con il rigurgito delle proprie viscere.

Tra il Sette e il Novecento furono i pittori ad erigere il Vesuvio ad icona del paesaggio del golfo, a riprodurne le caratteristiche delle tante eruzioni che si susseguivano, a diffonderne nel mondo l’immagine, e furono scienziati e turisti a farne l’imprescindibile luogo da visitare nel corso dei loro grands tours. Ed anche quando la gente fuggiva in preda al panico, viaggiatori e curiosi si arrampicavano lungo i versanti sussultanti per vedere da presso le colate ardenti, talvolta rimettendoci la vita, alla ricerca delle sensazioni forti, ed uniche, che la terribilità pittoresca di quella natura poteva suscitare.
Erano loro fra i maggiori clienti dei tanti pittori che diffondevano su tela o su carta (gouaches e acquerelli) le immagini da riportare in patria e destinate ad alimentare il ricordo dell’esperienza napoletana. Tono e finalità diverse ebbe invece la produzione artistica richiesta dagli abitanti dei luoghi vesuviani, dagli scampati alle furie del vulcano che, attribuendo la propria salvezza e quella delle loro case all’intervento di Dio e dei Santi, intesero ringraziarli con quadretti ex voto, dediche di cappelle ed altari, edicole, iscrizioni, che ci trasmettono ancora i segni di un’intensa devozione e l’atmosfera del momento, un misto di terrore, angoscia e speranza nell’aiuto soprannaturale.
Questi sentimenti, in alcuni casi, si coagularono in opere di alto livello che superano l’iniziale movente devozionale, proponendosi anche come rappresentative di un determinato momento artistico e culturale.

Ad una di queste, il Tempietto argenteo della Madonna della Neve, posto nella parrocchia dell’A.G.P. a Torre Annunziata, è dedicato questo libro che ne descrive non solo l’iter esecutivo ma tutto ciò che lo precedette, dai rovinosi fatti del 1906 alla manifestazione della volontà dei torresi di dedicare alla loro Patrona un’opera unica, tale da ricordarne in modo imperituro l’intervento miracoloso che li aveva sottratti al fiume di fuoco. Questo Tempietto rappresenta una sintesi della cultura artistica del momento, di un’arte che rielabora in unità tradizione e modernità, che affianca raffigurazione colta e sentimento popolare: le scene con i fatti dell’eruzione del 1906 dovevano riportare alla memoria viva dei fedeli gli eventi vissuti in prima persona, ricalcando le descrizioni delle cronache e le immagini fotografiche, ricordandoci come la presenza dei giornalisti e dei fotografi, già registrata nel secondo Ottocento, fosse divenuta ormai preponderante nella diffusione a tutti i livelli ed in tutti i paesi degli avvenimenti funesti che si verificavano nell’area vesuviana. Ma per i protagonisti dei fatti le vicende narrate nelle maioliche, quasi in sequenza cinematografica, rappresentavano ben più di una narrazione, come poteva essere per chi guardava da lontano o anche per noi: la loro visione riaccendeva infatti sentimenti vissuti e angosce provate dal vivo, rafforzando in tal modo la gratitudine verso la divinità per il suo intervento salvifico.

Dopo oltre un secolo dagli avvenimenti l’intensa carica spirituale si è attenuata e l’interesse artistico del manufatto acquista maggior evidenza. E questo libro lo mette in mostra con dovizia di immagini e, soprattutto, con alcune acute osservazioni e deduzioni che ci introducono in un momento dell’arte napoletana che conobbe, fra Ottocento e primo Novecento, un rigoglio che gli studi degli ultimi anni vengono sempre più rivelando. E che vide fra i suoi protagonisti un architetto come Antonio Curri, autore del Caffè Gambrinus, ma anche di tante opere meno note al grande pubblico, al quale Mario Quaranta pensa di attribuire il progetto del Tempietto sulla base della testimonianza del Giannelli, persona di solito ben informata.

La qualità dell’opera gli potrebbe dar ragione ed è probabile che Curri possa aver fornito almeno un disegno iniziale all’atto del concorso e che di esso si possa esser tenuto conto in seguito per quello definitivo, come ipotizza con abbondanza di confronti lo stesso Quaranta. Alla sua lettura, attenta e condivisibile, si rimanda anche per l’opera dell’autore materiale delle parti metalliche del Tempietto, anch’egli, come Curri, fra i protagonisti dell’arte napoletana al passaggio fra XIX e XX secolo, cioè l’orafo Vittorio Emanuele Centonze, ben noto come creatore e realizzatore di gioielli ed oggetti preziosi di intensa suggestione, immersi in quell’atmosfera che chiamiamo Liberty e che lo resero famoso anche all’estero.

Ora lo ritroviamo pure esecutore delle parti metalliche del Tempietto dove traspare la sua grande perizia tecnica e creativa. I suoi angeli in argento, di raffinata fattura ed ideazione, hanno qualcosa dell’eterea sensualità delle sue opere profane e si inscrivono a buon diritto fra le sue più interessanti creazioni.»
Estratto dal sito web del Centro Studi Nicola Alagno

Sommario
Presentazione
I Mons. Raffaele Russo
II Lucia Muoio
IV Renato Ruotolo
Introduzione - Vincenzo Marasco e Mario Quaranta
L’eruzione dell’aprile 1906 - Vincenzo Marasco
Il popolo torrese vuole un nuovo trono per Maria SS. della Neve - Vincenzo Marasco
Il Tempietto della Madonna della Neve: vicende storiche e artistiche. - Mario Quaranta
1. Il manufatto d’argento di Vittorio Emanuele Centonze: «un’opera d’arte tale da confondere i malevoli, ed ottenere la loro devozione e gratitudine a colei, che dicevano, li avesse scampati dal lagello dell’eruzione del 1906».
2. Le Storie dell’eruzione dipinte su maiolica da Antonio Coppola e Pasquale Cappelli.
3. La progettazione del tempietto della Madonna della Neve: una traccia per l’attribuzione ad Antonio Curri.
Fonti archivistiche
Elenco dei nomi
Bibliograia generale

 


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