Titolo: Mascarata.
Scuola di folklore di Buonopane.
Produzione: Scuola di folklore di Buonopane.
Anno di produzione: 2004
Prezzo: Euro 15,00
Disponibilità: In commercio
I dieci brani raccolti in questo disco dalla Scuola del Folklore di Buonopane in gran parte provengono da una ricerca sul campo che il gruppo ha da qualche anno avviato allo scopo di recuperare la tradizione musicale di Barano e dell'Isola d'Ischia. br/>Un obiettivo senz'altro difficile da raggiungere, soprattutto perché da decenni sono scomparsi gli interpreti, le occasioni e i contesti in cui si manifestavano il canto e la musica di tradizione orale dell'Isola.
Inoltre, la pervasiva acculturazione turistica ha trasmutato e spesso obliato le più autentiche espressioni della musica folklorica isolana, trasformando queste ultime in relitti e segni di un passato la cui sopravvivenza testimoniava semplicemente di un attardamento culturale del quale vergognarsi, di uno iato da colmare sostituendo quelle antiquate musicalità con espressioni più «urbane» e compiacenti.
E così il passato è stato revisionato nel modo più funzionale al sistema culturale del presente, reinterpretando e spesso reinventato modalità consone alle ideologie del turismo e del folklore di maniera.
I plettri e le musiche urbane dell'Otto-Novecento napoletano hanno preso il sopravvento sui legni e le percussioni che segnavano la musicalità delle campagne ed i concetti, i concerti ed i repertori musicali hanno prepotentemente sostituito l'ordito del tessuto musicale tradizionale, in cui le trame ricreavano piuttosto occasioni, cerimonialità, ritualità comunicative, padronanza dei linguaggi e delle sonorità legate alla sapienza di una ordinata creatività dell'improvvisazione, performance da intendersi nel senso di interpretazione del complesso codice della millenaria tradizione orale.
Già dagli anni Settanta ben poco è giunto a noi di quell'immenso patrimonio di beni culturali intangibili, come attestano le scarne documentazioni musicali conservate nell'Archivio del Centro Etnografico Campano.
Più ricche sono le trascrizioni dei testi verbali di alcuni canti che prima il folklorista Gaetano Amalfi (1882) e poi Gina Algranati (1957), ci hanno tramandato nei loro scritti.
Nei pochi squarci che si sono aperti in questa ampia zona di «silenzio folklorico», lavorando soprattutto nell'area sud-orientale dell'Isola, i giovani ricercatori della Scuola del Folklore di Buonopane sono riusciti a dare voce e corpo a residue forme di canti tradizionali. Un'operazione solo apparentemente «archeologica» in quanto la ricerca (che ha preso in considerazione anche le fonti scritte), come sempre accade in chi si immerge nell'indagine demo-etno-antropologica, s'è nutrita di incontri fra persone, spesso di diversa generazione (la maggior parte dei ragazzi della Scuola è nata nella seconda metà degli anni Settanta), trasformando l'investigazione documentaria in una emotiva esperienza di ricerca e conoscenza della «propria» storia. La prassi endo-etnografica ha fatto in modo che anche il già «noto» del folklore locale fosse sottoposto ad ulteriore approfondimento e rilettura critica, operazione che non poteva trascurare l'interpretazione della 'Ndrezzata, la danza armata che appartiene alla tradizione di Buonopane e ne rappresenta lo specifico culturale, ne esalta «l'identità ».
La Scuola ha inizialmente avviato la propria attività 21 anni fa eseguendo la classica 'Ndrezzata, proponendola in manifestazioni e gemellaggi scolastici come Piccola 'Ndrezzata, eseguita anche da ragazze.
Nel 1997 hanno costituito una nuova associazione dal nome di Scuola del folklore e hanno deciso di dare lustro al nome con cui i nonni all'inizio del 900 chiamavano la danza 'A Mascarata avendo, una struttura diversa dalla attuale 'ndrezzata quale: prima il ballo e poi la predica senza la sfilata.«La Mascarata è un ballo tardo-ottecentesco che i nostri nonni eseguirono anche in America scrivono i giovani della Scuola.
La predica ricorda esattamente il periodo delle grandi migrazioni. Dall'America i nostri emigrati furono rimpatriati perché ritenuti 'sovversivi ' (avevano danzato con le spade e mazzarelli in piena New York). Al ritorno, sotto una delle secolari querce di Buonopane, la danzarono al comando del caporale Michele De Luciano e vi presero parte alcuni personaggi del paese, poi ricordati nel testo stesso che accompagna la danza, qualcuno ancora vivente come 'Ndunin Napulion, o di burle al Re di Napoli che voleva far la guerra senza far sparare i cannoni, oppure di Mastro Raffaele che era un muratore che non ballava ma aveva tanta voglia di lavorare che per accendersi la pipa ci metteva più di 2 ore.»
Alla danza prendevano parte anche le donne ed il gruppo di esecutori (cantanti-danzatori) era molto numeroso. Diversamente dalla 'Ndrezzata, danza armata con caratteri da 'reserva' e di rappresentazione, in quanto il gruppo di danzatori (otto-dieci coppie) è solo maschile.
Entrambe le danze derivano evidentemente dalle moresche e dai mattacini, ed è probabilmente la variante della Mascarata a rimarcare gli aspetti carnascialeschi della danza.
In entrambi i casi il principale conduttore melodico è il canto corale (sebbene accompagnato da tamburelli e clarini), mentre la scansione ritmica è data dal frenetico battito dei bastoni e delle spade di legno. Le diverse e complesse figure della danza sono introdotte dal comando del caporale (la guida), che le indica anticipando il verso di ogni strofa. Il ruolo del canto è quindi fondamentale nella esecuzione della danza, un canto il cui testo (che può rientrare nella famiglia delle tarantelle) è a struttura variata, con quartine di settenari alternate a «strofe » più anomale che interpolano l'esecuzione di nonsense con criteri rapportabili a quelli in uso per il marchigiano ballo della castellana.
La struttura aperta del canto consentiva «inserzioni » allusive e ironiche, spesso riferite a personaggi del posto o a personaggi ed eventi storici (il Re,Garibaldi ecc.), secondo le ben note modalità dei rituali carnevaleschi. L'occasione festiva e il codice rituale comprendevano in linea generale possibilità espressive di denuncia, di derisione e di «abbassamento» com'è il caso del canto Pe' frastieri, dove gli abitanti di paesi e frazioni dell'Isola sono fatti oggetto di una feroce satira in quartine composte da quei «blasoni» diffusi in forma di motti proverbiali che fissano le presunte caratteristiche degli abitanti di un luogo. La Tammurriata murupanese e il canto A vattut 'e ll 'astreche ci mostrano del resto la diversa funzionalità che un testo e le sue varianti possono assumere nelle diverse occasioni di esecuzione. La prima narra la vicenda, che si ritiene realmente accaduta, di un prete (Don Nicola) che avesse una storia con la figlia della 'perpetua' (Donna Cristina) in una casa che si trova più sopra il ponte di Buonopane. Il tema, ovviamente, è comune ad una vasta area folclorica ed è ben conosciuto nella letteratura popolare. Nel folklore infatti, preti e monaci vengono percepiti come figure ambivalenti. Sono gaudenti seduttori che approfittano ipocritamente del loro status ma finiscono spesso per essere beffati e puniti. I canti ed i racconti che narravano tali vicende finivano per essere una sorta di riti verbali collettivi, degli charivari contro l'ambiguità del clero ma spesso finivano per essere dei veri e propri esorcismi contro la paura della infedeltà e del «disonore »sessuale.In buona sostanza, quei componimenti rispecchiano soltanto ciò che gli uomini, sotto la spinta di desideri e di paure, hanno immaginato delle donne e sui rapporti con le donne.Il medesimo tema del prete che seduce la ragazza ritorna, nella variante ritmico-formale dei Battitori di lastricato. È questo un vero e proprio «canto di lavoro» legato alle tecniche edilizie tradizionali, particolarmente alla fase di costruzione del tetto a cupola. L'impasto predisposto a formare il lastricato solare veniva battuto con dei pali la cui estremità inferiore era più massiccia ed aperta (l'attrezzo è chiamato pentone). Gruppi di svariati battitori eseguivano il lavoro per alcuni giorni.Il coordinamento dei gesti dei battitori veniva assicurato dalla euritmica prodotta dai pali percossi, dal canto degli operai, da un gruppo musicale base formato da un tamburellista, un clarinettista e un fisarmonicista. L'evento coreutico-lavorativo era abbastanza complesso e si snodava entro un percorso rituale denso e articolato dove la musica e il canto ricoprivano un ruolo fondamentale.Come nella Mascarata, spesso era la voce-guida a determinare i distici e le quartine da intonare elaborando di continuo un repertorio occasionale aperto ad ogni variante, riamalgamata all'interno dello schema esecutivo la cui ritmica era quella della tammurriata e della tarantella. Qui, più che altrove, le allusioni e le simbologie sessuali evocate unitamente ai segni di morte-rinascita si presentano con modalità più esplicite. Sono tratti che ritornano, del resto, in tutti i canti. Un vero e proprio lamento funebre è ad esempio Sarturella mia, così come un testo talamico sembra essere Quann' a zinghera. Nell' intento della Scuola v'era anche quello di rappresentare, in questa antologia, i diversi «generi»in cui la tradizione musicale poteva articolarsi. Da questo punto di vista è significativa Nu vaso d 'ammore, classificabile come canto narrativo, un genere un tempo molto diffuso nei repertori femminili dell'Isola. E così la poetica Tammurriata e l 'angelo, ricca di immagini e suggestioni, che sembra coniugare l'arcaica tradizione degli strambotti a quella della musica tradizionale urbana. La Tarantella lu ceraso e 'A dispietto intendono dichiaratamente riallacciare le fila del discorso musicale a quelle più vive tradizioni musicali che in parte ancor oggi sopravvivono nelle grandi feste della Campania.Una parte della ricerca della Scuola del Folklore di Buonopane si è infatti svolta nei Paesi di «terraferma», dove i giovani hanno incontrato musicisti e cantori tradizionali, per apprendere tecniche, sonorità, abilità esecutive. I loro nonni, sono partiti da Buonopane per cercare qualcosa che gli appartiene in un altro luogo e sono tornati sotto la stessa quercia a cantare per chi ha voglia di ascoltare.
Inoltre, la pervasiva acculturazione turistica ha trasmutato e spesso obliato le più autentiche espressioni della musica folklorica isolana, trasformando queste ultime in relitti e segni di un passato la cui sopravvivenza testimoniava semplicemente di un attardamento culturale del quale vergognarsi, di uno iato da colmare sostituendo quelle antiquate musicalità con espressioni più «urbane» e compiacenti.
E così il passato è stato revisionato nel modo più funzionale al sistema culturale del presente, reinterpretando e spesso reinventato modalità consone alle ideologie del turismo e del folklore di maniera.
I plettri e le musiche urbane dell'Otto-Novecento napoletano hanno preso il sopravvento sui legni e le percussioni che segnavano la musicalità delle campagne ed i concetti, i concerti ed i repertori musicali hanno prepotentemente sostituito l'ordito del tessuto musicale tradizionale, in cui le trame ricreavano piuttosto occasioni, cerimonialità, ritualità comunicative, padronanza dei linguaggi e delle sonorità legate alla sapienza di una ordinata creatività dell'improvvisazione, performance da intendersi nel senso di interpretazione del complesso codice della millenaria tradizione orale.
Già dagli anni Settanta ben poco è giunto a noi di quell'immenso patrimonio di beni culturali intangibili, come attestano le scarne documentazioni musicali conservate nell'Archivio del Centro Etnografico Campano.
Più ricche sono le trascrizioni dei testi verbali di alcuni canti che prima il folklorista Gaetano Amalfi (1882) e poi Gina Algranati (1957), ci hanno tramandato nei loro scritti.
Nei pochi squarci che si sono aperti in questa ampia zona di «silenzio folklorico», lavorando soprattutto nell'area sud-orientale dell'Isola, i giovani ricercatori della Scuola del Folklore di Buonopane sono riusciti a dare voce e corpo a residue forme di canti tradizionali. Un'operazione solo apparentemente «archeologica» in quanto la ricerca (che ha preso in considerazione anche le fonti scritte), come sempre accade in chi si immerge nell'indagine demo-etno-antropologica, s'è nutrita di incontri fra persone, spesso di diversa generazione (la maggior parte dei ragazzi della Scuola è nata nella seconda metà degli anni Settanta), trasformando l'investigazione documentaria in una emotiva esperienza di ricerca e conoscenza della «propria» storia. La prassi endo-etnografica ha fatto in modo che anche il già «noto» del folklore locale fosse sottoposto ad ulteriore approfondimento e rilettura critica, operazione che non poteva trascurare l'interpretazione della 'Ndrezzata, la danza armata che appartiene alla tradizione di Buonopane e ne rappresenta lo specifico culturale, ne esalta «l'identità ».
La Scuola ha inizialmente avviato la propria attività 21 anni fa eseguendo la classica 'Ndrezzata, proponendola in manifestazioni e gemellaggi scolastici come Piccola 'Ndrezzata, eseguita anche da ragazze.
Nel 1997 hanno costituito una nuova associazione dal nome di Scuola del folklore e hanno deciso di dare lustro al nome con cui i nonni all'inizio del 900 chiamavano la danza 'A Mascarata avendo, una struttura diversa dalla attuale 'ndrezzata quale: prima il ballo e poi la predica senza la sfilata.«La Mascarata è un ballo tardo-ottecentesco che i nostri nonni eseguirono anche in America scrivono i giovani della Scuola.
La predica ricorda esattamente il periodo delle grandi migrazioni. Dall'America i nostri emigrati furono rimpatriati perché ritenuti 'sovversivi ' (avevano danzato con le spade e mazzarelli in piena New York). Al ritorno, sotto una delle secolari querce di Buonopane, la danzarono al comando del caporale Michele De Luciano e vi presero parte alcuni personaggi del paese, poi ricordati nel testo stesso che accompagna la danza, qualcuno ancora vivente come 'Ndunin Napulion, o di burle al Re di Napoli che voleva far la guerra senza far sparare i cannoni, oppure di Mastro Raffaele che era un muratore che non ballava ma aveva tanta voglia di lavorare che per accendersi la pipa ci metteva più di 2 ore.»
Alla danza prendevano parte anche le donne ed il gruppo di esecutori (cantanti-danzatori) era molto numeroso. Diversamente dalla 'Ndrezzata, danza armata con caratteri da 'reserva' e di rappresentazione, in quanto il gruppo di danzatori (otto-dieci coppie) è solo maschile.
Entrambe le danze derivano evidentemente dalle moresche e dai mattacini, ed è probabilmente la variante della Mascarata a rimarcare gli aspetti carnascialeschi della danza.
In entrambi i casi il principale conduttore melodico è il canto corale (sebbene accompagnato da tamburelli e clarini), mentre la scansione ritmica è data dal frenetico battito dei bastoni e delle spade di legno. Le diverse e complesse figure della danza sono introdotte dal comando del caporale (la guida), che le indica anticipando il verso di ogni strofa. Il ruolo del canto è quindi fondamentale nella esecuzione della danza, un canto il cui testo (che può rientrare nella famiglia delle tarantelle) è a struttura variata, con quartine di settenari alternate a «strofe » più anomale che interpolano l'esecuzione di nonsense con criteri rapportabili a quelli in uso per il marchigiano ballo della castellana.
La struttura aperta del canto consentiva «inserzioni » allusive e ironiche, spesso riferite a personaggi del posto o a personaggi ed eventi storici (il Re,Garibaldi ecc.), secondo le ben note modalità dei rituali carnevaleschi. L'occasione festiva e il codice rituale comprendevano in linea generale possibilità espressive di denuncia, di derisione e di «abbassamento» com'è il caso del canto Pe' frastieri, dove gli abitanti di paesi e frazioni dell'Isola sono fatti oggetto di una feroce satira in quartine composte da quei «blasoni» diffusi in forma di motti proverbiali che fissano le presunte caratteristiche degli abitanti di un luogo. La Tammurriata murupanese e il canto A vattut 'e ll 'astreche ci mostrano del resto la diversa funzionalità che un testo e le sue varianti possono assumere nelle diverse occasioni di esecuzione. La prima narra la vicenda, che si ritiene realmente accaduta, di un prete (Don Nicola) che avesse una storia con la figlia della 'perpetua' (Donna Cristina) in una casa che si trova più sopra il ponte di Buonopane. Il tema, ovviamente, è comune ad una vasta area folclorica ed è ben conosciuto nella letteratura popolare. Nel folklore infatti, preti e monaci vengono percepiti come figure ambivalenti. Sono gaudenti seduttori che approfittano ipocritamente del loro status ma finiscono spesso per essere beffati e puniti. I canti ed i racconti che narravano tali vicende finivano per essere una sorta di riti verbali collettivi, degli charivari contro l'ambiguità del clero ma spesso finivano per essere dei veri e propri esorcismi contro la paura della infedeltà e del «disonore »sessuale.In buona sostanza, quei componimenti rispecchiano soltanto ciò che gli uomini, sotto la spinta di desideri e di paure, hanno immaginato delle donne e sui rapporti con le donne.Il medesimo tema del prete che seduce la ragazza ritorna, nella variante ritmico-formale dei Battitori di lastricato. È questo un vero e proprio «canto di lavoro» legato alle tecniche edilizie tradizionali, particolarmente alla fase di costruzione del tetto a cupola. L'impasto predisposto a formare il lastricato solare veniva battuto con dei pali la cui estremità inferiore era più massiccia ed aperta (l'attrezzo è chiamato pentone). Gruppi di svariati battitori eseguivano il lavoro per alcuni giorni.Il coordinamento dei gesti dei battitori veniva assicurato dalla euritmica prodotta dai pali percossi, dal canto degli operai, da un gruppo musicale base formato da un tamburellista, un clarinettista e un fisarmonicista. L'evento coreutico-lavorativo era abbastanza complesso e si snodava entro un percorso rituale denso e articolato dove la musica e il canto ricoprivano un ruolo fondamentale.Come nella Mascarata, spesso era la voce-guida a determinare i distici e le quartine da intonare elaborando di continuo un repertorio occasionale aperto ad ogni variante, riamalgamata all'interno dello schema esecutivo la cui ritmica era quella della tammurriata e della tarantella. Qui, più che altrove, le allusioni e le simbologie sessuali evocate unitamente ai segni di morte-rinascita si presentano con modalità più esplicite. Sono tratti che ritornano, del resto, in tutti i canti. Un vero e proprio lamento funebre è ad esempio Sarturella mia, così come un testo talamico sembra essere Quann' a zinghera. Nell' intento della Scuola v'era anche quello di rappresentare, in questa antologia, i diversi «generi»in cui la tradizione musicale poteva articolarsi. Da questo punto di vista è significativa Nu vaso d 'ammore, classificabile come canto narrativo, un genere un tempo molto diffuso nei repertori femminili dell'Isola. E così la poetica Tammurriata e l 'angelo, ricca di immagini e suggestioni, che sembra coniugare l'arcaica tradizione degli strambotti a quella della musica tradizionale urbana. La Tarantella lu ceraso e 'A dispietto intendono dichiaratamente riallacciare le fila del discorso musicale a quelle più vive tradizioni musicali che in parte ancor oggi sopravvivono nelle grandi feste della Campania.Una parte della ricerca della Scuola del Folklore di Buonopane si è infatti svolta nei Paesi di «terraferma», dove i giovani hanno incontrato musicisti e cantori tradizionali, per apprendere tecniche, sonorità, abilità esecutive. I loro nonni, sono partiti da Buonopane per cercare qualcosa che gli appartiene in un altro luogo e sono tornati sotto la stessa quercia a cantare per chi ha voglia di ascoltare.
Ugo Vuoso
[Ceic Centro Etnografico Campano ]
[Ceic Centro Etnografico Campano ]
Elenco dei brani:
Tammurriata murupanese - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Pe' frastieri - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Quann' a zinghera - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
'A dispietto - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
'A.Mascarata - Tradizionale
Sarturella mia - Tradizionale
Nu vaso d' ammore - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Tammurriata e l'angelo - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Tarantella lu ceraso - Tradizionale
A vattut' 'e ll'astreche - Tradizionale
Tammurriata murupanese - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Pe' frastieri - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Quann' a zinghera - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
'A dispietto - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
'A.Mascarata - Tradizionale
Sarturella mia - Tradizionale
Nu vaso d' ammore - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Tammurriata e l'angelo - (G. Marino - G. Di Costanzo, A. Di Costanzo)
Tarantella lu ceraso - Tradizionale
A vattut' 'e ll'astreche - Tradizionale