“PORGENDO UNO SPECCHIO ALLA NATURA” - Note sul teatro elisabettiano - A cura di Roberto D’Avascio e Laura AngiulliAutore: AA.VV.
Curatore: Roberto D’Avascio e Laura Angiulli
Titolo: Porgendo uno specchio alla natura
Sottotitolo: Note sul teatro elisabettiano
Descrizione: Volume in formato 16° (cm 19 x 14); 240 pagine; 10 foto di scena, a colori
Luogo, Editore, data: Napoli, Libreria Dante & Descartes, 2021
Collana: 
ISBN: 9788861572126
Condizioni: nuovo
Note: Raro
Prezzo: Euro 20,00
Disponibilità: 1 esemplare

 


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Introduzione
Il testo si propone di promuovere la cultura relativa l teatro elisabettiano tra 500 e 600, muovendo da seminari e materiale didattico analizzati e raccolti a partire dal progetto Shakespeare del 2016.

È altresì un’importante forma di divulgazione della scena elisabettiana che i critici di Galleria Toledo portano avanti da molti anni, interagendo con scuole ed università perché forti della convinzione che quello elisabettiano sia una pagina del teatro internazionale che ha prodotto grandissimi capolavori e generato molti artisti dall’ enorme valore, temi molto moderni e capaci d’inserirsi nel contesto anoi più vicino con notevole facilità.

Per teatro elisabettiano s’intende una fase della storia inglese che va dal 1576, anno in cui fu costruito il the Theatre ad opera di James Burbage, a nord di Londra, grazie alla cessione da parte della monarchia di una liberty scevra dalle imposizioni della municipalità londinese, ed il 162, anno in cui al potere sale Lord Cromwell e sancisce la fine della storia teatrale in Inghilterra, distruggendo teatri e giustiziando attori.

L’aggettivo Elisabettiano denota il voler andare oltre la stagione del regno di Elisabetta I (1583-1603), dimostrando che il fenomeno teatrale per nulla convenzionale e aristotelico andava oltre ed inglobava anche i regni dei suoi successori, Giacomo I e Carlo i che sarà poi addirittura giustiziato nel 1642, quando il governo dei puritani avrà il sopravvento nella guerra civile.

È stata un’epoca importantissima non solo per il fiorire di artisti più e meno noti, come Shakespeare, Marlowe, Dekker ed altri ma anche per la grande variazione dei sottogeneri teatrali che hanno danno luogo alle Domestic plays, ai drammi di vendetta, alle tragicommedie, alle histories ecc.

È l’epoca in cui nascono i teatri stabili, non più smontati e portati via dopo la rappresentazione teatrale: nascono the theatre, il Globe, il Rose, il Fortune, lo Swan, ma anche dei luoghi deputati all’azione scenica in chiave più informale come i cortili delle locande e le arene in cui avevano normalmente luoghi combattimenti tra animali, o ancora delle Sali adattate ad accogliere pubblico di più alta levatura.

È l’epoca delle molteplici compagnie, da quella dei King’s men, alla Queen’s Men, passando per la compagnia dell’ammiraglio, o quella dei ragazzi che si esibivano nelle Sale private, completamente al chiuso.

È una stagione d’oro, una golden age, eterogenea per i generi ed i sottogeneri, per la diversità degli edifici teatrali, sia pubblici che privati, per la differente volontà delle compagnie e del pubblico pagante.

Il testo coglie diversi aspetti del teatro elisabettiano, partendo dalle concezioni moderne di Shakespeare di elaborare temi legati alla vita politica, alla legge e alla giustizia a lui contemporanea direttamente in scena, al suo grande merito di aver dato carattere umano ai suoi personaggi; ci sarà un parallelismo con Strehler che analizza la tempesta di S; l’estetica cattolica di Ford e dei suoi personaggi e così via.

Capitolo 1 “Shakespeare in law di Simonetta de Angelis”

Il saggio si apre con una considerazione di fondo compiuta tra legge e senso della giustizia, prendendo spunto dalla capacità oratoria di Cicerone, il quale constatava che un individuo per sentirsi libero deve necessariamente essere schiavo della legge. Necessità dell’esserci una legge a tutela della libertà di tutti. Il teatro di S. si pone dinanzi questa massima a voler mettere in risalto come, proprio in contesti in cui si osserva la legge in modo profondo, nasce una limitazione delle libertà.

Egli analizza il fenomeno nei testi tragici ed anche in quelli comici, mettendo in parallelismo i concetti di legge-giustizia, così come razza-religione, fattori economici-morali.

Partiamo dal contesto storico-ideologico in cui si sviluppa il teatro inglese dopo la riforma di Enrico VIII del 1534: contesto laico, sganciato dalla sottomissione ecclesiastica che premeva nel continente mediante le scene di miracoli e sacre rappresentazioni, facendo corrispondere alle moralities (personificazioni dei concetti dei vizi da condannare e delle virtù da perseguire), dei personaggi reali, assorti nel mettersi a nudo e a interrogarsi su ciò che è bene o male p0erseguire, dialogando con la propria coscienza, senza essere guidato dai dogmi che imperavano nella cultura occidentale del 500.

C’è un nuovo eroe moderno inglese, che da solo, si misura in modo originale ed euristico rispetto agli avvenimenti che riguardano il resto dell’Europa: dalle rivoluzioni in chiave astronomica e scientifica grazie all’opera di Copernico; in chiave religiosa, dal momento che decide di perseguire una propria strada, definita Anglicana, lontana da Lutero e dal Papa di Roma; in chiave economica, avviando una sempre più incisiva azione di colonizzazione di terre lontane allo scopo di arricchire la madrepatria, favorendo la nascita della classe borghese e mercantile inglese; nonostante sia continuamente impegnata su diversi fronti bellici: guerra dei 100 anni con la Francia(1337-1453) e guerra delle due Rose, tra le casate dei Lancaster Vs York (1455-1485), riesce a trovare pace e serenità grazie alla dinastia dei Tudor che si insediano in Europa dopo la vittoria sulla Invicible Armada di Spagna, 1588.

S. si ritrova in un mondo considerato nuovo ed ha la genialità di cogliere l’umano dei suoi personaggi, ritraendoli in chiave intima, partendo dalla loro coscienza. La motivazione del grande successo di S. si può dunque cogliere nella sua grande capacità di rendere attuale e vivo il contesto storico e di farlo emergere nelle battute e nelle azioni dei suoi attori. Ci sentiamo vicini alla rapida e fugace impossibilità di capire ed interpretare il nostro tempo, ci ritroviamo soli a compiere l’esegesi di ciò che accade intorno a noi, interrogandoci come gli spettatori del 1600 di S. circa l’esistenza.

S. si interroga sul problema della dicotomia legge-giustizia sin dalla sua prima commedia: la commedia degli errori , in cui si narra la vicenda del mercante di Siracusa, Egeone, che approda contro la legge ad Efeso. Egli, dopo un breve processo, viene condannato ma gli si concede di raccontare la sua vita.

Allora, lui racconta di come abbia intrapreso un viaggio con moglie e figli, gemelli e dallo stesso nome, in compagnia con i loro schiavi, anch’essi gemelli e con il medesimo nome, nati nello stesso giorno dei suoi figli. Dopo un naufragio che aveva spezzato in due la nave, Egeone resta con un figlio ed uno dei suoi servi, mentre la moglie resta sull’altra metà della nave, con l’altro figlio e l’altro schiavo. Quando questi compiranno 18 anni potranno andare alla ricerca della loro metà. Anche lui partirà e vagherà per anni, fino ad Efeso. Il tiranno Solino si commuove e concede ad Egeone di trovare la somma per riscattare la sua prigionia entro la sera stessa. Il racconto di Egeone è tratto da un poema di Grower del 1300 e funge da antefatto alla commedia che presenta delle similitudini con quella di Plauto, i Menechmi. Grande capacità di S. di innestare un genere sull’altro e di trarre spettacolo e sperimentazione artistica, anticipando anche la produzione artistica del romanzo.

Ad apertura dell’opera c’è il dialogo tra Egeone e Solino che discutono circa la giustezza o meno della pena cui è andato incontro E., che non vede l’ora di farla finita, ma il duca chiarisce di provare pietà, di non poter andare contro la legge, ma applicherà una clausola prevista che sottolinea un elemento molto importante in S. la convenzionalità legata all’arco di tempo definito in un giorno, propriamente aristotelico, volendo sottolineare come trasgredendo le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, si raggiungesse comunque la correttezza di un testo.

Il merito di S. è altresì quello di accompagnare gradualmente gli spettatori verso il passaggio alla commedia, partendo da un antefatto di natura tragica. I due uomini, il servo ed il figlio, sono anch’essi ad Efeso. Lo

S. viene accusato di aver redatto un testo colonialista fortemente razzista, che vede nell’ebreo il diverso, giustificando il malaffare e lasciando il pubblico ad interrogarsi su diversi aspetti e temi che vanno ben oltre la scena. Si mettono in dubbio di proposito valori sociali, morali ed etici per ribaltare la situazione in favore della vittima che diventa poi carnefice, mostrando il doppio che hanno implicitamente tutti i personaggi di S. Egli ha il grande merito di ribaltare le situazioni in modo talmente fluido e rapido che può tranquillamente essere paragonato a ciò che accade nella vita quotidiana di ciascuno di noi: convivono diverse nature nella nostra di esseri umani. Sconfessa la sacralità legata al concetto di giustizia scegliendo Venezia come set della sua scena: Venezia, la città che ha sulla facciata del palazzo ducale la dea della giustizia che aleggia e impera sulla laguna. Paradosso.

Quello di S. è il teatro dello specchio delle passioni umane, che costringe gli spettatori a cercare dentro di sé differenze e similitudini, certi che il ribaltamento di colui che crediamo impersonifichi un ruolo, di lì a poco, sarà tutt’altro.

Capitolo 2 “Umano troppo umano” Laura Angiulli

Bruto, dopo aver ucciso Cesare, si rivolge ai senatori pregandoli di approvare quanto appena fatto lascia trasparire la perdita della sua integrità morale nella considerazione che lo spettatore ha di lui.

Desdemona, quasi vicina alla morte per mano di Otello, non riesce a trattenere le lacrime quando sa dell’uccisione di Cassio per l’ira furente di Otello e viene redarguita dallo stesso che le chiede con quale coraggio osa piangerne la morte dinanzi a lui, lascia trasparire una propensione in S. nel fornire ad Otello un flebile alibi agli occhi del pubblico.

Anna, la figura più oltraggiata del repertorio S., quando accetta di prendere come marito Riccardo III dopo che questi uccise Enrico, viene derisa dalle parole del futuro marito che considera l’inadeguatezza delle nozze rivolgendosi al pubblico e al quale comunica che nessuno può contro i suoi artifici.

È il male che impera sul personaggio di Riccardo III. Ed è il male che regola Macbeth che impersonifica tutto il male del mondo.

Harold Bloom nel suo trattato si sofferma criticamente sulla malvagità di due suoi personaggi più complessi: Falstaff e Amleto. Il primo per la sua enorme interiorità ed il secondo per il suo ingente spessore psicologico ed esistenziale.

Il dolore è la linfa che muove i suoi personaggi ad essere liberi di interpretare sé stessi, c’è un misterioso nichilismo che imprime il dramma dell’uomo dinanzi al divino. C’è molta attualità in S. che propone come sfondo la sua età, cucendo insieme bene e male.

Capitolo 3 “La tempesta nella regia di Strehler: necessità del t. nella storia” di A

La grandiosa capacità di S. di produrre testi drammatici che non sono mai l’uno la copia dell’altro, ha fatto sì che nel corso nel Novecento egli diventasse il drammaturgo più volte portato in scena. Il linguaggio della sua regia che mai isola il giudizio dall’eccezionale produttività dei suoi pregevoli testi ha reso possibile che molte compagnie lo interpretassero in molteplici chiavi di lettura. La sua drammaturgia universale ha consentito anche alcune interpretazioni personali che hanno decontestualizzato l’opera ed i personaggi generando nuove rivisitazioni geniali.

La tempesta è la rappresentazione che si offre a molteplici e caleidoscopiche interpretazioni. Ambientata nella corte inglese del 1611 è l’opera considerata il lascito testamentario di S. che poi si ritirerà a vita privata. Testo visionario ed enigmatico, presenta le tre unità aristoteliche generando smarrimento nella critica.

Trama: Prospero, nobile cui viene strappato il ducato di Milano dal fratello Antonio, vive su un’isola con la figlia Miranda. Essendo un profondo conoscitore di arti magiche, quando viene a conoscenza del passaggio della nave del fratello nei pressi dell’isola dove si trova in esilio, scatena una tempesta per attirare sull’isola l’equipaggio e saziare la sua sete di vendetta. Quando approdano, nell’equipaggio ci sono re Alonso e suo figlio Ferdinando che si innamora di Miranda e costringe Prospero a rinunciare alla pratica della magia e riporta ordine tra i fratelli.

Densa stratificazione di significati nascosti in quella che appare come una favola. Primo tra tutti rapporto tra arte e natura: la presenza di Ariel, aiutante di Prospero, liberata dall’albero che la teneva prigioniera dopo l’incantesimo ricevuto da Calibano, figlio di una strega cattiva.

Contrapposizione tra bene e male, metaforicamente Prospero vs Calibano.

La bellezza inafferrabile dell’opera ha suscitato interesse nel mondo del cinema e del teatro del 1900: la prima rappresentazione cinematografica risale al 1905 e dura solo 2 minuti, inscenando il momento del naufragio. La versione teatrale di Strehler e di Peter Brook, rispettivamente del 1978 e 1990, rappresentano due momenti chiave per l’interpretazione dell’universo alchemico che S. ci offre nei suoi ultimi anni.

Ci soffermiamo sul regista italiano, Giorgio Strehler, cofondatore del Piccolo Teatro di Milano nel 1947, nel manifesto che ne sancisce l’apertura, egli ribadisce la volontà di ridare la socialità al teatro, di renderlo popolare ma conserva la grande qualità di prodotto. Specifica che il teatro nella città di Milano deve diventare luogo stabile e continuativo, dove inscenare la prosa come atto educativo, didattico ma anche di svago; propone dunque autori noti ed altri meno, che abbiano un certo spessore a livello culturale. Quello di Strehler sarà teatro d’arte per tutti. Egli interpreta l’opera di S. in modo critico, impegnandosi in ben 12 allestimenti teatrali nell’arco di un trentennio. Egli entra in S. attraverso la storia che contestualizza le sue opere, privilegiando lo smascheramento del potere, tra le sue prerogative esistenziali. Le 12 rappresentazioni in lingua animano un costante dialogo con l’autore e rendono all’avanguardia il suo teatro. La tempesta diventa il momento culminante della sua fase conoscitiva di S., che metterà in scena nel 1978 liberando la scena dai suoi allestimenti shakespeariani. Il t. diventa strumento conoscitivo per eccellenza.

La tempesta ha due versioni: 1948 e 1978. L’inizio e la fine del viaggio di Strehler nell’universo di S. Ben tre decenni che racchiudono tutto lo scibile di Strehler e che volutamente riversa nel Piccolo teatro. Un viaggio condotto per affinare stile e tecnica rappresentativa, per ridurre al massimo l’astrazione della scena, rendendo evidenti le differenze delle due scene.

1948: GIARDINO DI BOBOLI – FIRENZE Contesto naturale, avvolto dai suoni e dalle immagini della natura, si utilizza il testo tradotto dall’inglese da Salvatore Quasimodo. Poca attenzione alle scelte compiute dalla regia.

1978: PICCOLO TEATRO DI MILANO Scena ridotta al minimo. Grande attenzione alla dimensione visionaria, simbolica e magica del testo. Alter ego di Prospero con Shakespeare e poi di Strehler stesso, si apre un parallelismo con la storia che il pubblico vive nel momento in cui s’inscena l’opera. Anni di piombo, delle stragi in strada, del terrorismo e Strehler invita il pubblico a adottare la dimensione dell’immaginario come segno rivoluzionario contro l’omologazione delle coscienze. La grande e rivoluzionaria novità risiede nel confronto con attori e addetti ai lavori durante la fase preparatoria: un continuo dibattito di idee e posizioni rispetto all’originale conducono anche alla scelta di Agostino Lombardo per la traduzione. Egli, infatti unisce linguistica e capacità rappresentativa, alimentando uno stretto connubio con il regista che mediante delle lettere non nasconde la sua volontà di partecipazione alla fase traduttiva del testo. La sensibilità e la genialità del regista si uniranno alla competenza lessicale e critica del Lombardo e restituiranno un capolavoro: 4mesi di prove e modifiche al testo di Lombardo, porteranno in scena lo spettacolo nel giugno del 1978. Scena sgombra. Solo metafora e parola. Corde, carrucole e musici sono tutti a vista. S. dedica molto tempo alla fase della tempesta, evocando il mare con una semplice stoffa di seta celeste e dando

Inghilterra. Nel 1625 Giacomo I muore e sale al trono il figlio Carlo I, che nonostante fosse stato cresciuto in un ambiente rigorosamente cattolico, da re dimostra di avere non poche titubanze sulla religione cattolica: manterrà una politica di clemenza verso i cattolici, ma a livello privato sarà al centro di una serie di scontri con la moglie Enrichetta Maria che si rifiuterà di partecipare alla sua incoronazione a Westminster, nel 1626. Gli attriti tra i due si placheranno solo nel 1629 e tale distensione si avvertirà anche nel contesto sociale inglese che vivrà un periodo di pace sino al 1640. La produzione Fordiana si inserirà in questo contesto di pace e tolleranza, che vedrà anche ad un revival della religione cattolica che sarà al centro della corrente barocca che ha investito il continente ed è giunta anche in Inghilterra, grazie al mecenatismo di Carlo I, che cresciuto in Francia, permetterà che in Inghilterra si diffondesse il gusto per l’eccesso tipico del barocco. Mentre egli era fortemente affascinato dalla pittura barocca, la moglie Enrichetta Maria di Borbone, lo era del teatro e della letteratura. Ella fu così attratta dalla drammaturgia e dalla scena teatrale che nel 1626, accompagnata dalle sue damigelle, mise in scena un dramma pastorale francese nella Somerset House, costruita da Indigo Jones. La coppia carolina fu particolarmente attiva negli anni 30 del 1600, accogliendo attori, drammaturghi e scenografi non solo inglesi.

Ford dà alla luce il dramma storico, scritto tra il 1624 e 1634, “The chronicle histories of Perkin Warbek. A strange truth”: opera messa in scena nel 1629 dalla compagnia dei “Queen’s Enrihetta Men”al Phoenix Theatre. È un’opera in cui la dimensione politica si amalgama con un contesto religioso controriformista ed è il sigillo della sua piena maturità. F. si inserisce perfettamente nella redazione di testi visionari, che non aderiscono al realismo, alla staticità di forme e misure, alla realtà, ma sono frutto di silenzi, di illusioni, di evanescenze, della vittoria dell’artificio sulla natura, come nella sua prima opera da indipendente The lover’s melancholy, in cui il flauto di Partenofilo produrrà un suono di gran lunga più armonioso del canto dell’usignolo stesso che morirà con il cuore spezzato. Immagine quest’ultima che si riscontra in più di una scena fordiana. In TPSAW, Giovanni strappa il cuore con il pugnale alla sorella Annabella, sotto suo consenso e poi lo impala, scendendo al piano di sotto, dove c’è la festa ed il marito di Annabella, che uccide in un raptus di follia; o ancora, in the broken heart, quando Calanta morirà spezzandosi il cuore.

Concludendo, quella di Ford è una drammaturgia barocca aperta alla metafora della religione cattolica che in ambito protestante si letteralizza puritanamente. I suoi personaggi sono affamati e silenziosi, martiri, che muoiono soffrendo e ricoperti di sangue.

Capitolo 5 “Costanti e varianti in Edward II - Marlowe1590-1 e Richard II - Shakespeare. 1595. Osservazioni per la didattica” a cura di Antonella Piazza

Entrambi sono dei drammi storici che portano in scena la deposizione di un re e la sua successiva morte violenta, come quella del Cristo. In entrambi, al centro della scena è la corona, che deve essere difesa metaforicamente dai molteplici tentativi di aristocrazia e clero di metterne fine. In realtà tra i due drammi vi sono moltissime differenze.

-Intrecci.

Edward II azione incalzante, veloce e tumultuosa; tema dell’omosessualità del re, innamorato di Gaveston, ferocemente avversato dall’aristocrazia impersonificata in Mortimer e dalla sua stessa moglie, Isabella, dalla quale sarà tradito. Gaveston torna dall’esilio e viene ucciso barbaramente su commissione di Isabella e dagli uomini di Mortimer. Ed. rivendica la sua morte. Scoppia una guerra civile, che lo porterà alla morte per impalamento. Sale al trono Edward, il figlio che sta dalla parte del padre e condanna a morte sia la madre che Mortimer.

Richard II azione misurata, lenta ed equilibrata. La scena si apre con i due che daranno inizio alla lotta fratricida tra Lancaster e York, ovvero la guerra delle due rose e Riccardo è chiamato a fare da arbitro della contesa. Egli condanna entrambi all’esilio. Bolingbroke, figlio di Gaunt dei Lancaster, ritornerà perché viene

informato che Riccardo per rimpinguare le sue casse e per iniziare la guerra contro l’Irlanda, aveva utilizzato la sua eredità. Egli torna dall’esilio, inferocisce il popolo contro Riccardo, che, quando torna dall’Irlanda è convinto di avere ancora l’appoggio dei suoi. Ma così non è e scoppia la guerra civile che porterà alla deposizione di un re, Riccardo, che quasi soccombe alla tirannia di Bolingbroke e che muore senza avere un seguito già destinato.

Al centro di entrambi i drammi, dunque, vi è la corona. Entrambi si sentono ombre (shadows) e tentennano quando è il momento di consegnarla. Entrambi si sentono traditori essi stessi della corona, perché non hanno impedito che ella finisse nelle mani degli usurpatori, mentre Riccardo II è la tragedia della perdita di sacralità del re, in Edoardo questo elemento è assente. Di netta derivazione medievale, c’è la distinzione tra corpo fisico e sacro del re, il primo mortale e perituro, l’altro eterno e inviolabile. Riccardo cedendo la corona si spoglia, è nudo, diventa un comune mortale e nella scena dello specchio egli non è più ombra, ma uomo e testimone di ciò che gli sta avvenendo e ne prova ribrezzo. Si sente ombra anche Edoardo, perché non ha più la corona che lo rendeva il sole del suo popolo.

-Isabella

Richard II la moglie, Isabella, sostiene il re e ne soffre quando devono salutarsi perché lui è stato fatto prigioniero. C’è la scena del giardino, in cui Isabella saluta con un ultimo bacio Riccardo piangendo, che rimanda all’addio di Giulietta e Romeo.

Edward II Isabella lo tradisce già a partire dal I atto con Mortimer e con il quale poi sarà mandata a morire su ordine di Edoardo, il figlio.

-I figli

Richard II non ha figli e lascia un finale di prefigurazione per l’età elisabettiana.

Edward II il figlio prenderà le sue parti e ne difenderà la memoria.

-I corpi del re

Entrambi vengono rappresentati come figure cristologiche: Edoardo sembra quasi vivere addirittura la via crucis, con accanimento di baroni e mortimer; Riccardo è anch’esso cristianizzato, nella misura in cui viene spogliato della sua corona e reso uomo, umiliato, martire, re del dolore.

Capitolo 6 “Puritani, religiosità intransigente tra politica e storia.” A cura di D’Avascio-d’Agostino

A cavallo tra 5/600 l’Europa continentale vive l’affermarsi degli stati nazionali che s’impiantano su cambiamenti ed assestamenti di natura politico- istituzionale, sociale-culturale e religiosa.

Mentre nella prima metà del 1500 si fece valere la massima del “Cuius regio eius religio”, tracciando le coordinate di un apparente equilibrio tra gli stati, si vengono a delineare le conformazioni dell’Europa dal punto di vista confessionale. In spagna, Francia, Austria e parte dei paesi bassi che in quel periodo governano le scene diplomatiche e politiche, professano religione cattolica, l’Inghilterra si ritroverà a fare i conti con un sovrano molto passionale che, a causa di un divorzio, preferì inaugurare in terra inglese una nuova confessione religiosa in cui il re, oltre ad essere capo dello stato diventava anche capo della chiesa. Siamo nel 1534 ed il sovrano in questione è Enrico VIII Tudor che, pur di ottenere il divorzio da Caterina d’Aragona, per unirsi in matrimonio con Anna Bolena, effettuò il cosiddetto Scisma dalla chiesa di Roma.

Ancora di più, quando salì al trono la figlia, Elisabetta I che successe a Maria la sanguinaria, si ristabilì un clima di fervida persecuzione dei cattolici con il ripristino dell’atto di supremazia e di tolleranza che non celava affatto il suo polso nei confronti del suo regno: irreprensibile, non volle mai unirsi in matrimonio per

Capitolo 7 “Nella più buia tra le notti shakespeariane. Premessa a misura per misura” a cura di A. Toppi

Vienna dipinta da Bosch nel 1482 nel suo trittico sembra uno dei gironi danteschi: cadaveri, sangue, scene di rapporti sessuali in procinto di verificarsi e colti in flagranza. Esseri trattati da bestie. Così la Vienna rappresentata da Shakespeare nel 1604 con la sua Misura per Misura , in cui affronta temi di giustizia, libertà e passione. Sarà questa l’opera che Brook porterà in scena nel 1950, seguendo da regista sceneggiatore, il quadro di Bosch: si metterà in scena la patina di lercio e la rozzezza che il denaro si porta appiccicato addosso. Nella Vienna di S. non c’è norma, né legge, né rispetto per il prossimo. In questa opera S. ci costringe ad essere peggiori, facendo riferimento ad una Londra che non è come noi oggi simao abituati a vederla: strade sporche, piccole e addossate; vicoli pericolosi e bui, cloache a cielo aperto, topi e prostitute ad ogni angolo, incendi e disordini sociali in ogni luogo e a qualsiasi ora. Nonostante tutti questi inconvenienti, Londra è la città più ambita per i contemporanei di s. perché offre lavoro ed è in continua evoluzione: due erano le maggiori attrazioni della metropoli, Tamigi e la cattedrale di Saint Paul. Il Tamigi, a nord e a sud del quale si stabilirono i quartieri della bella vita, del divertimento e dello svago, era l’arteria principale del commercio. Fiume navigabile, pescoso, ma anche luogo tetro dal momento che non era insolito scorgervi dei cadaveri, cui qualcuno rubava anche le monetine dalle tasche.

La cattedrale, invece, era uno dei luoghi più maestosi di Londra, il cui campanile fu abbattuto da un fulmine e mai più ricostruito. Il suo enorme piazzale aveva molteplici funzioni: cimitero, libreria a cielo aperto e mercato, dove non mancavano crimine, rapine, risse e malaffare. Nelle periferie c’erano i due grandi opposti: le case di campagna dei ricchi signori che fuggivano dalla sporcizia londinese e le taverne e locande. Nei sobborghi c’erano le botteghe, le lavandaie che operavano in mezzo ai tintori ed ai maniscalchi ai falegnami, ecc... La privacy non esisteva. Così come nulla poté contro i bordelli, che frequentavano anche i puritani che tanto li criticarono.

Pare chiaro che Vienna dipinta da Bosh nel 1482, sia la Londra di s. che sta marcendo ed implodendo verso la mercificazione e lo squallore. Ogni gesto viene tradotto in parola. Ogni luogo, ogni atto riprovevole è tradotto nella drammaturgia di S. che consente anche ad autori successivi, quale Brecht di poter ambientare l’opera ai suoi giorni, paragonando sottilmente la Vienna di S. alla Germania nazista. È un’opera composta in una fase di passaggio, ovvero tra la morte di Elisabetta e la salita al trono di Giacomo I. S. nasce cinque anni dopo che E sale al trono: regina vergine, poco incline a farsi guidare, astuta, aggressiva e dall’enorme intelletto. Alla sua morte, il suo regno porterà a galla tutte le crepe che ella aveva cercato di tenere unite, anche mediante la sua fitta rete di spie, presenti ovunque e che la tenevano informata di quanto accadesse nel resto del vecchio e nuovo mondo. Si rivede molto nella Riccardo II di S. quando viene descritto il momento in cui egli deve deporre la corona e lei, invece, ormai vecchia, si avvia alla morte. Queste informazioni le ricaviamo dal messo di Enrico IV di Francia, De Maisse, che si dilunga e si prodiga nelle descrizioni degli ultimi giorni di vita della Regina e delle sostanziali differenze con Giacomo I, trasandato e poco dedito all’igiene, inetto e poco incline allo studio, intellettuale insicuro, spese molto per guanti e gioielli, uomo inquieto.

*Parallelismo con misura per misura di Angiulli, inscenato nella nuda galleria Toledo

Platea al buio, solo nei pilastri ed una grata che funge da prigione. Completano l’arredo due sedie. La protagonista è l’oscurità, la sintesi del nichilismo e della disperazione dell’uomo. C’è sfiducia nella natura, nella ragione e nella società tale che ogni personaggio sembra essere colpevole di questa condizione assoluta che vive e lascia vivere allo spettatore. Le luci e la musica vanno a sottolineare le azioni dei personaggi che agiscono in una notte buia, che sottolineano come in ciascuno di noi convivano il bene e il male.

Capitolo 9 “Che cosa sono le nuvole? Fuga dalla apocalittica scena contemporanea” a cura di D. Sabina

L’intera opera drammaturgica di S. ha un carattere esistenziale, intercettando il vivere comune in molteplici piani d’indagine, da quello politico-istituzionale, socioculturale ed anche psicologico-morale, conservando un filo diretto con l’attualità, come profeticamente annuncia Cassio nel Giulio Cesare quando anticiperà che la loro scena sublime sarà reinterpretata in nazioni ancora non nate.

Il genio produttivo di S. ha reso il Novecento particolarmente sensibile a delle letture critiche, riscritture e d’impulso per forme di espressione creativa e talvolta originale, influenzando l’ambito musicale, cinematografico, figurativo e narrativo. Il cinema, in particolare, trae spunto dalla capacità di S. di influenzare l’immaginario collettivo con la macchina dei sogni. Registi come Orson Welles e Pier Paolo Pasolini utilizzano la parola shakespeariana e ne fanno un loro tratto filmico. In particolare, ci concentriamo sul mediometraggio Che cosa sono le nuvole , del 1967, una rilettura metateatrale che attraversa anche l’Otello di S. nella considerazione filmica del Pasolini.

In un cast d’eccezione, con Totò nel ruolo di Yago, Ninetto d’Avoli, Ciccio Ingrassia e Franco Franchi ed addirittura Domenico Modugno, nel ruolo dell’immondezzaio, in una strepitosa opera d’arte che racchiude la polimorfia di ciascun essere vivente. Ambientata in un vecchio teatrino, gli attori fingono di essere delle marionette, manovrate da un burattinaio ma le vicende della tragedia nota s’interrompono quando un pubblico incolto e rozzo interviene per impedire ad Otello di uccidere Desdemona, e dopo una furiosa lite tra Yago e Otello, l’immondezzaio che veste i panni di un moderno caronte, li getta infondo ad una discarica dove i due guardano le nuvole e si chiedono cosa sono, con un Otello divertito e Yago che gli spiega, ammaliato, cosa sono. C’è una correlazione con il quadro di Velasquez, las meninas, che Pasolini utilizza per creare il manifesto affisso sulle pareti del teatro malridotto: potenza dell’immagine che agisce come se dinanzi ai personaggi ritratti nel quadro ci fosse un grande specchio. Egli, invita a guardare il film come si ammira il Velasquez, con l’intento di percepire dove finisce la finzione ed inizia la verità. Come il confine tra la realtà e la finzione che si articola tra burattini, retti dal filo del burattinaio, Leonetti che interagisce con loro, quasi come un grillo parlante.

Nel film, che si articola tutto su gioghi di vita-morte, bene-male, amore-odio, la vicenda si regge sul rapporto tra il vecchio Yago, nato prima e il giovane Otello, che vede in Yago-Totò la sua guida: quando viene al mondo otello è contento e Yago gli spiega che nascere è bello perché equivale all’esserci, alla verità. La morte stessa equivale ad un nuovo inizio, con un nuovo battezzo.

Per concludere, il mediometraggio pasoliniano è la sintesi del suo spirito composito: filosofo, artista, regista, sceneggiatore, autore e cultore di musica, cineasta, critico. Egli unisce il pensiero di Velasquez alla sua opera, attraverso un lavoro di campo e controcampo, riesce a permettere allo spettatore di assistere anche a ciò che accade dietro le quinte, e non solo della visione frontale.

Mette in scena il suo pensiero critico, semiotico e filosofico che è anticipatore apocalittico di quello che avverrà nella società immediatamente futura: un deserto culturale.

 


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